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fanboys    fangirl

E’ il 2012. Uno studente siede davanti ad una commissione di docenti universitari, esponendo il suo progetto per l’ammissione alla scuola di dottorato.
Il progetto riguarda i fans e il loro ruolo nella società odierna e lo studente capisce in pochi secondi come finirà il colloquio, quando uno dei professori che ha davanti chiede a cosa serve parlare di gente che se ne sta rinchiusa in casa a guardare la TV e che ruolo i fan possono avere se vivono la loro vita fuori dal mondo.

Salto indietro di un paio d’anni. Siamo nel 2010 e la Jus in Bello, prima convention italiana dedicata a Supernatural, è ormai alle porte.
In un’intervista fatta a scopo di ricerca, le organizzatrici accennano alle difficoltà incontrate nel trovare sponsor e pubblicità per l’evento: “Un conto è se parliamo di reality o di talent show come ‘Amici’ di Maria De Filippi… Solo a questo sono interessati in Italia”. E infatti dare spazio ad eventi dedicati a telefilm o classici film ‘da nerd’ suscita disinteresse, quando va bene, velato sarcasmo e atteggiamento di superiorità negli altri casi.
Il video dell’intervista a Jared Padalecki e Jensen Ackles fatto da Simona Ventura in occasione della convention rimane negli annali come un imbarazzante esempio della considerazione che l’italiano medio ha per i fan (al link originario non è più disponibile ed è un peccato, perchè Simona Ventura in difficoltà nel pronunciare i nomi dei due attori e una scaletta di domande palesemente di circostanza avrebbero meritato una visione).

Andando molto più a ritroso, raggiungiamo il 1986.
In un articolo del Newsweek, dedicato al ventesimo anniversario di Star Trek, i Trekkies vengono definiti come quelli che “non vogliono fare nient’altro che guardare più e più volte i 79 episodi della serie” e il comportamento dei fans in generale viene etichettato come “infantile” (Jenkins, 2006).

Photo by Simon Zirkunow    Photo by Bo Jørgensen

Trekker alla fermata dell’autobus e zombie ad una corsa campestre

 

L’idea di ‘fan’, non solo degli ultimi trent’anni, ma dalle sue origini ad ora, rimane dunque frequentemente associata in senso negativo alla sua accezione originaria: etimologicamente il termine ‘fan’, abbreviazione di ‘fanatic’, viene fatto risalire al latino fanaticus che nel senso più letterale fa riferimento ad una persona che “appartiene al tempio, un devoto”, ma che arriva ad indicare un individuo “invasato da entusiasmo per la propria fede, intollerante d’ogni altra religione”. Per estensione, fanatico si associa anche a qualcuno “mosso da passione forte ed esclusiva, da entusiasmo per un’idea, per un partito; anche semplicemente da simpatia eccessiva verso una determinata persona o da eccessivo zelo nell’esercizio di un’attività” (Lessico Universale Italiano).
Questa definizione è quella che da sempre muove l’immaginario collettivo, che identifica nel fan un individuo che vive una vita poco gratificante, con rari legami sociali e relazioni insoddisfacenti e che sostituisce la propria mancanza di azione nel mondo reale con il rifugiarsi in un mondo fantastico, ridicolmente sconnesso dalla realtà.

Che esempi di questo genere esistano è una questione innegabile. Ma alzi la mano chi fra voi si identifica al 100% in questa definizione per il 100% della sua esistenza.
Certo, riconoscersi fan implica l’accettare di far parte di una comunità subordinata, giudicata inferiore da molti, ma una comunità che mai come in questi anni si è dimostrata potenzialmente tanto influente sulla produzione mediatica: i social network hanno rafforzato moltissimo lo scambio fra i fruitori dei prodotti televisivi, cinematografici, letterari e i loro autori originari e in molti casi – Sherlock della BBC può esserne un esempio – le scelte fatte da questi ultimi sono state fortemente influenzate dalle richieste dei fans di quello specifico prodotto.

Sherlolly   Sheriarty

Due screenshot tratte da “The Empty Hearse” (Sherlock, ep. 01, stagione 03).
Le scene appaiono, per la loro costruzione, come un evidente omaggio ai diversi fan della serie

 

Già Umberto Eco (1979) parlava del processo cooperativo che si instaura fra un autore e un lettore di un libro, affermando che il lettore non è mai una figura passiva che riceve il testo così com’è stato scritto e così com’è stato scritto deve accettarlo.
Il significato di un testo, e qui, per estensione, possiamo parlare di un testo letterario, come di un testo televisivo e cinematografico, appare chiaro (o più chiaro) solamente quando c’è qualcuno che lo interpreta, riempiendone gli spazi lasciati bianchi da chi l’ha originariamente creato.

Da questo punto di vista, l’intero modo di operare dei fan, l’insieme delle loro attività e lo sguardo indagatore che hanno nei confronti dei prodotti che seguono sono l’esempio migliore e più concreto di come i due concetti apparentemente antitetici di autore/lettore (ed ovviamente autore/spettatore) si fondano di fronte ad un testo e attraverso questa fusione diano completezza e coerenza ai suoi contenuti. Basta pensare alle fanfiction che, più di tutto il resto, rappresentano, per come nascono e vengono costruite, l’unione perfetta di queste due anime.

about fanfictions

I fans non subiscono e si fanno vivere da un prodotto, come i non-fans potrebbero pensare. Piuttosto i fans sono coloro che danno vera vita a questo prodotto, ne fanno emergere i significati nascosti e non sempre voluti, ne diventano co-creatori e lo liberano.

Sono artisti che a partire da un’ispirazione creano nuovi mondi, psicologi “ingenui” che tentano di riconoscere la natura umana anche in personaggi di fiction, sociologi in erba di fronte a società che cercano di cogliere fra le righe. Rifuggono sempre l’incoerenza di una storia e spesso la banalità e arrivano a creare un fanon che alle volte funziona meglio del canon, perché nasce da motivazioni più nobili, come l’amore e la passione per un prodotto, invece che da meri calcoli economici che spesso ne sviliscono qualità e intelligenza.

Per tutti questi motivi, e molti altri, abbiamo voluto aprire questa associazione, dedicata allo studio e alla diffusione in Italia di quella che a livello internazionale viene definita fan culture: sappiamo tutti, infatti, che nel nostro paese, molto di più che in altri, quali quelli di lingua anglosassone, la considerazione che viene data a questa sottocultura è praticamente nulla, sia in ambito universitario (con poche interessanti eccezioni), che dai classici media.

Tutti gli articoli, i dossier, gli eventi che proporremo nei prossimi mesi avranno dunque come scopo principale quello di sdoganare il concetto di “fan”, riconoscendogli il giusto posto e il giusto ruolo e soprattutto dando l’opportunità a chi naviga ancora in stereotipi arcaici di capire cosa si cela davvero dietro questo universo.

E come dice Henry Jenkins, professore universitario e saggista statunitense che ha dedicato la sua carriera allo studio di queste materie:

“Hello. My name is Henry. I am a fan. Somewhere in the late 1980s’, I got tired of people telling me to get a life. I wrote a book instead”

 

Eco U. (1979). Lector in Fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bompiani, Milano
Jenkins, H. (2006). Fan, blogger e videogamers. L’emergere delle culture partecipative nell’era digitale, FrancoAngeli, Milano
Pietrobon A., Tessarolo M. (2010). Internationalization of fan activities: conventions and the role of fans. In “Psychological values around the world, Proceedings 2010”, a cura di Comunian, A., O’Roark, A., Lowenstein, L. F., Cleup, Padova

 

 VIDEO: Cosa significa essere fan?


Agnese

Presidente, autrice. "The only way to be happy is to love. Unless you love, your life will flash by" The Tree of Life, 2011