L’animazione giapponese non sembra riscuotere molto successo presso la commissione degli Oscar, eppure il più delle volte presenta titoli di rara bellezza e pura maestria. Un’analisi del premio Oscar per il Miglior Film d’Animazione anno per anno ci svela i retroscena e i grandi esclusi.


Cominciamo con un’ovvietà: difficilmente i premi Oscar vengono assegnati a pellicole veramente memorabili. Il perché è tristemente risaputo e si ritrova, più che altro, nella commissione esaminatrice. Si potrebbe scrivere un saggio su questo argomento –  anzi, suppongo sia già stato scritto –  dunque non mi dilungherò inutilmente sulla questione, concentrandomi invece su una delle molte statuette che vengono annualmente assegnate: il Premio Oscar al Miglior Film d’Animazione.

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Hayao Miyazaki vince l’Oscar per La Città Incantata, 2003

Sono un’esponente di quella generazione che non ha mai smesso di guardare “cartoni animati”, virgolettato because of reasons. Ebbene sì cari colleghi Millennials, quelli che noi guardavamo alle quattro del pomeriggio su Bim Bum Bam con mezzo panino alla Nutella in mano e che chiamavamo “cartoni animati”, erano tutti – o per la maggior parte – anime. Benvenuti nel lato otaku della Forza.

Ai miei tempi l’espressione “cartoni animati” comprendeva un insieme di opere d’animazione che nella realtà ricoprono categorie molto diverse, sia come tipologia che come target: l’animazione per bambini, gli anime giapponesi e i blockbuster d’animazione. Mentre programmi come Peppa Pig o PJ Masks – Superpigiamini difficilmente potrebbero attrarre adolescenti o adulti, gli anime giapponesi sono espressamente creati per soddisfare tutte le età, partendo da Doraemon o Crayon Shin-chan per i più piccoli fino ad arrivare a Terror in Resonance, Cowboy Bebop o Hellsing per gli adulti.

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Cowboy Bebop, 1998

E sì, è vero, noi esponenti della gioventù anni ’90 avevamo ancora i denti da latte quando guardavamo Sailor Moon, ma c’è da dire che la prima versione andata in onda (classe 1995 in Italia) era molto edulcorata già in giapponese, e venne ulteriormente modificata e censurata dalle reti italiane. La versione più recente (Sailor Moon Crystal, del 2014) segue fedelmente il manga di Naoko Takeuchi e mostra ciò che la versione del 1995 ha nascosto o tralasciato: la relazione omosessuale fra due delle sailor (Haruka e Michiru, ovvero Sailor Uranus e Sailor Nettuno), il fatto che Sailor Uranus fosse canonicamente gender fluid, per non parlare del fatto che Zoisite (Dark Kingdom Arc) sia stato trasformato in una donna nella versione italiana del ‘95 per giustificare agli occhi dei bambini la sua relazione omosessuale con Kunzite.

Diverso è il discorso per i grandi film d’animazione, in particolare quelli del ramo Disney-Pixar; pur essendo creati per un target infantile, sono godibili anche dagli adulti. Un esempio lampante di come questi film si adattino ad una fetta enorme di pubblico sparsa su più età è data da Ralph Spaccatutto (2012), completamente basato sul mondo videoludico degli anni ’80 e ’90. Dubito che i bambini di oggi sappiano chi siano Sonic, Pac-Man o Qubert, salvo averli visti in qualche pubblicità retrò.

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Ralph Spaccatutto, 2012

Quando ho riabbracciato la mia parte otaku e sono rientrata nel mondo degli anime, con gusti diversi e molto meno tempo da dedicarvi, ho cominciato a seguire un canale YouTube chiamato Mother’s Basement, che tratta principalmente di argomenti relativi agli anime in diverse rubriche. Un giorno mi sono imbattuta nel video Why the Oscars don’t “Get” Animation – Especially Anime e, devo ammettere, mi ha fatto riflettere.

Nonostante gli anime stiano da anni prendendo piede al di fuori del Giappone gli anime movie sembrano venire snobbati dagli Oscar, vengono raramente nominati per la categoria e a oggi solo uno è riuscito effettivamente a vincere la statuetta: La Città Incantata (titolo originale: Sen to Chihiro no Kamikakushi, in inglese: Spirited Away) di Hayao Miyazaki per lo Studio Ghibli. Eppure, ogni anno, gli studi d’animazione giapponese producono anime movie di altissimo livello, sia tecnico che di sceneggiatura, molti dei quali trattano quei temi socialmente utili tanto cari all’AMPAS (Academy of Motion Picture Arts and Sciences, la commissione che conferisce gli Oscar).

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La Città Incantata, i protagonisti Chihiro e Haku in una scena del film.

Per cercare una spiegazione al fenomeno è necessario sapere il regolamento per l’assegnazione del premio Oscar e, da lì, operare un processo di scrematura ed eliminazione che ci lascia con davvero pochi contendenti e che favorisce spudoratamente i film d’animazione americani (chi ha detto Disney-Pixar? Vi ho sentiti laggiù in fondo!).

Cominciamo con il dire che il Premio Oscar per il Miglior Film d’Animazione fu istituito per l’anno 2001, dunque fece la sua prima apparizione nella cerimonia del febbraio 2002. Dunque è relativamente giovane.
Perché un film d’animazione possa essere nominato deve seguire alcuni criteri: deve essere più lungo di 40 minuti, deve essere rimasto nelle sale per almeno una settimana e il premio viene conferito solamente se durante l’anno ci sono stati 8 o più film d’animazione proiettati nei cinema dell’area distrettuale di Los Angeles. Se le candidature per la categoria ammontano a 16 o più film, il vincitore viene selezionato da una lista di 5 finalisti; se sono meno di 16, la lista dei finalisti si riduce a 3.

Questi paletti danno già un taglio netto alla maggior parte degli anime movie, in particolare se sono relativi a serie anime già in corso che vengono presentati in giornate uniche o solo durante eventi particolari, come il San Diego Anime Expo o l’Anime NYC. Quindi via i vari Naruto/Boruto, Sword Art Online, Puella Magi Madoka Magica, Mobile Suit Gundam, Digimon Adventure Tri e compagnia danzante.
La consapevolezza che i film di Evangelion e Ghost in the Shell non trovavano spazio nella rosa dei candidati ha evidenziato un vuoto dentro di me che non pensavo di avere.

Questo ci lascia con i film d’animazione slegati da serie anime in corso. Di quelli ne escono tre, massimo quattro all’anno, e difficilmente raggiungono velocemente il pubblico oltreoceano se non sono legati a nomi già largamente conosciuti (vedi Hayao Miyazaki, Makoto Shinkai o Satoshi Kon). Di questi pochi eletti, forse uno viene proiettato nelle sale per più di tre giorni (esattamente come succede in Italia, badate bene). Inoltre, difficilmente gli anime movie raggiungono l’America lo stesso anno di pubblicazione in Giappone. A volte, per questione di acquisto dei diritti, vengono presentati al pubblico americano uno o due anni in ritardo, dunque rientrano nella selezione del premio Oscar in anni successivi a quello di uscita.

Con tutto questo in mente, la lista di anime movie “papabili” di nomination è davvero breve.

Ad esempio: due film notevoli di Satoshi Kon, Tokyo Godfathers e Paprika – che sarebbero stati nominabili per gli Oscar rispettivamente nel 2005 e 2008 – negli Stati Uniti hanno avuto una distribuzione limitata, che potrebbe non aver interessato l’area distrettuale di Los Angeles, come richiesto dal regolamento.

Un altro film che sarebbe potuto entrare in nomination nel 2008 è uno dei più famosi di Makoto Shinkai, 5 cm al Secondo (in originale: Byousoku go centimeters), che però non fu nemmeno nominato. Quell’anno vinse Wall-e (e tanto di cappello) ma gli altri due contendenti furono Bolt e Kung-fu Panda, che pur essendo divertenti e godibili non arrivano alla poesia di Shinkai.

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5 cm al Secondo, 2007

Passando allo Studio Ghibli, non ricevettero la nomination nemmeno Ponyo Sulla Scogliera (Gake no ue no Ponyo, agli Oscar per il 2010) e Arrietty – Il Mondo Segreto Sotto il Pavimento (Karigurashi no Arrietty, agli Oscar per il 2013). Non due dei migliori, ma prenderei Arrietty su Cattivissimo Me 2 ogni giorno. Unica consolazione, agli Oscar del 2013 fu effettivamente nominato Si Alza il Vento (Kaze tachinu, Hayao Miyazaki/Studio Ghibli), ritenuto un vero e proprio capolavoro, ma perse contro Frozen.

Qualche soddisfazione in più è arrivata in anni recenti; nel 2014 fu nominato agli Oscar La Storia della Principessa Splendente (Kaguya-hime no monogatari, Studio Ghibli) ma un grande assente alle nomination fu Wolf Children (Okami kodomo no Ame to Yuki, Studio Chizu/Toho/Madhouse).
Nel 2015 ricevette la nomination Quando C’era Marnie (Omoide no Marnie, Studio Ghibli) ma perse contro Inside Out.

Nel 2018 venne nominato Mirai (Mirai no Mirai, Studio Chizu) ma quell’anno la gara è stata dura: la combo Disney-Pixar si presentava con due sequel importanti: Ralph Spaccainternet e Gli Incredibili 2, e L’Isola dei Cani fu un ottimo contendente. Vinse, più che meritatamente, Spider-man: Un Nuovo Universo ma non posso non notare l’assenza di Your Name (Kimi no na wa, Makoto Shinkai), diventato un fenomeno degli anime movie sia in patria che oltre oceano. Senza contare che, probabilmente, quest’ultimo sarebbe stato candidabile anche gli Oscar 2017, vinti da Coco solo per mancanza di alternative (parliamoci chiaro: Baby Boss, che ha ottenuto la nomination, a Your Name può lucidargli le scarpe con la lingua).

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Your Name, 2016

Come non citare, poi, i grandi assenti? Capolavori degli anime movies come La Collina dei Papaveri (Kokuriko-zaka kara, Studio Ghibli), Il Giardino delle Parole (Kotonoha no niwa, Makoto Shinkai) e soprattutto La Forma della Voce (Koe no katachi, Kyoto Animation) che sono stati distribuiti solo in home video o i cui diritti non sono mai stati acquistati.

Nessuno mette in dubbio che Disney-Pixar faccia dei film eccezionali, sono io la prima a presentarmi in sala quando escono, ma a mio parere anche gli anime movie meritano la considerazione di un premio come gli Oscar, riconosciuto a livello mondiale, e soprattutto di una giuria che sappia cosa stia guardando, non solo che il prodotto in sé e per sé è guardabile.


Yoko Hogawa

Articolista. "You knew you could not live with the empty space, so you replaced your heart with metaphors, and set out to create a world where the metaphor was unbreakable. Now look what you have done, you can't breathe so you write." [Mindy Nettifee; "The First Time"]