Eccoci nel secondo appuntamento fanMade in Japan, un piccolo viaggio nel Sol Levante ed in particolare nel mondo degli anime e dei manga.

Nello specifico, oggi vorrei proporvi una piccola riflessione sul cambiamento avuto negli ultimi anni da parte dei prodotti provenienti dall’oriente, e sulle risposte di alcuni artisti giapponesi a questo fenomeno.

UFO Robot Goldrake

Nelle ultime decadi del vecchio secolo, c’era un’indiscussa forte contrapposizione tra due grandi tipologie del genere fumettistico; parliamo naturalmente dei prodotti tipicamente nipponici, i manga, e della loro controparte americana, i comics. Questi due famiglie di fumetti erano ben distinte l’una dall’altra, a tutti i livelli; gli americani prediligevano una grafica più realistica e mascolina, anche nell’impersonare le donne, mentre i loro fratelli giapponesi preferivano uno stile più deformed, esagerando le proporzioni dei corpi e smorzando i tratti degli uomini. Gli americani amavano spaziare diverse ideologie e culture, pur restando nell’ambito “umano”, mentre i giapponesi tendevano a creare storie basate sulla loro vasta cultura popolare, ricca di creature e spiriti; in occidente spopolavano i supereroi in tute attillate, mentre la controparte orientale si dilettava con fantascienza e tecnologia aliena… e coi mitici robottoni! E così via. Ovviamente non si può parlare per assolutismi, ma in linea di massima ci si muoveva su questi due grandi fronti. Due distinte forme di arte, uguali nei metodi ma con risultati meravigliosamente agli estremi dei canoni.

The Avengers

Tutto questo, almeno, fino alla fine del secolo scorso.

Ora come ora, la maggior parte di anime e manga che giungono dall’estremo oriente si sono modernizzati, occidentalizzati per così dire, adeguandosi ai canoni che il mercato richiede. E se da una parte é bello vedere come i vari generi si fondono tra loro, generando miscele di trame e prodotti sempre più arricchiti di novità e stili eclettici, dall’altra é un peccato perdere l’originalità e le caratteristiche tipicamente nipponiche delle opere che arrivano dal Sol levante, lasciandone intravedere in alcuni casi soltanto una vaga impronta.

Ma ci sono ancora dei “pilastri” che mantengono il proprio stile orgogliosamente giapponese, lasciando però che le sottili trame conquistino tutto il mondo con la loro originalità, seppur mantenendo i canoni tipici del manga giapponese. Uno tra essi é Tsukasa Hōjō (Kitakyūshū, 1959), uno dei più brillanti ed eterogenei mangaka dei giorni nostri.

Il suo stile é prettamente nipponico e risalta grazie ai disegni curati in ogni minimo particolare ed alle figure totalmente umanoidi, prive di quei tratti tipici di molti shojo e shonen (manga dedicati rispettivamente ad un pubblico femminile e maschile), con proporzioni inverosimili e i cui visi sono caratterizzati dagli occhi molto grandi e “luccicosi”, le bocche a tratti e i nasi a punta. In forte contrapposizione con questo suo stile molto “umano”, Hōjō si diverte ad inserire simpatiche caricature dei suoi personaggi per sottolineare le fasi comiche della trama, a volte ai limiti del deformed, particolare che caratterizza molto la mano dell’autore e che i fan amano alla follia; basti pensare agli inseguimenti col martello di Kaori oppure alle facce del povero Ryo, sempre costretto a subire i suoi abusi (cit. City Hunter)!

City Hunter

Nonostante non sia tra gli autori di maggior fama in Italia, é sicuramente noto al pubblico nostrano per le sue due opere di maggior successo internazionale: parliamo naturalmente di Cat’s Eye (Kyattsu Ai, serializzato dalla Shūeisha dal 1981 all’85) e del sopraccitato City Hunter (Shitī Hantā, pubblicato sempre dalla Shūeisha dal 1985 all’92). La sua capacità di trasportare in questi suoi lavori l’impronta tipica del Giappone di quei tempi ha un qualcosa di indescrivibile, le ambientazioni sono perfette e lo stile dei personaggi ben si sposa con l’epoca, in cui la moda occidentale spadroneggiava in oriente pur mantenendo ben salde le radici della loro cultura del tutto singolare. Gli anime, trasmessi in Italia a partire rispettivamente dal 1985 e dal 1997, hanno riscosso anche nel nostro paese un’enorme successo ed hanno dato all’autore una buona fama, essendo entrambe opere con un’elevata maturità artistica e stilistica. Il suo primo lavoro, in particolare, é da considerare un’opera di un notevole livello anche sotto un aspetto puramente umano: il debutto di Hōjō come mangaka avviene soltanto due anni prima dell’inizio della serializzazione di Cat’s Eye nel 1979 e l’autore poteva contare soltanto 3 racconti brevi alle proprie spalle, compreso il primo con cui vinse il concorso indetto dalla rivista Shonen Jump (nota rivista settimanale giapponese appartenente alla casa editrice Shūeisha, fatto che legò l’autore ad essa per quasi tutte le sue opere). Questa sua prima grande pubblicazione seriale di 18 volumi gli diede un bel daffare, fornendo ad un novellino del mestiere, com’era lui all’epoca, una mole di lavoro equivalente alla bellezza di circa 20 tavole settimanali, per 3 anni consecutivi.

Cat’s Eye

La peculiarità intrinseca di Hōjō , che si riverserà in tutte le sue opere, è senz’altro la capacità di elaborare contenuti molto adulti, non tanto per i temi trattati in sé, quanto per la profondità con cui essi vengono affrontati. Soprattutto nelle sue opere secondarie, tutto questo viene fuori con un’intensità fortissima, capace di incollare l’ignaro lettore alle pagine di queste piccole perle di narrativa nipponica, che si trova catapultato suo malgrado in situazioni talmente dense di emozioni in cui l’unica cosa saggia da fare é… tirare fuori i dannati fazzoletti!

Komorebi no Motode – Tra i raggi del sole

Nei racconti brevi che Hōjō ha scritto durante il corso della sua carriera, raccolti dalla Star Comics in tre volumi chiamati Hōjō World 1-3 (Point Break n° 4 – 6, 2000), oltre che nella mini serie Tra i raggi del sole (Komorebi no Motode, edito da Shūeisha, 1993) composta da 3 tanbook, queste sue caratteristiche vengono sbattute in faccia ai lettori con molta forza. Gli ultimi tre racconti in particolare, che in Italia compongono il 3° volume di Hōjō World, sono tutti ambientati tra l’America e il Giappone degli anni della Seconda Guerra Mondiale e rappresentano in trittico molto cupo e pessimistico; con essi l’autore vuole sottolineare come entrambe le società dell’epoca, tanto quella occidentale quanto quella orientale, abbiano deriso i sogni dei pochi, di come li abbiano schiacciati e spremuti per poi andare tranquillamente avanti per la propria strada, incuranti dei morti, dentro e fuori, che hanno calpestato durante il percorso e degli esseri umani che si sono lasciati alle spalle, costretti a scegliere un ruolo e ad interpretarlo loro malgrado. (Aozora no Hate shonen no Senjo, Fino alla fine del cielo: la guerra dei ragazziShonen tachi no ita natsu: melody of Jenny, L’estate dell’adolescenza: melody of JennyAmerican Dream editi da Shūeisha, 1995. Il primo racconto é liberamente tratto da una storia dell’autore Shingo Nihashi).

Shonen tachi no ita natsu: melody of Jenny – L’estate dell’adolescenza: melody of Jenny

Un’altra opera carica di forte sentimento é F. Compo (Famirī Konpo, edito da Shūeisha, 1996), terza opera di lunga serializzazione di Hōjō in ordine cronologico, in cui l’autore affronta un altro tema molto adulto, quello della sessualità in tutte le sue molteplici forme. Forse proprio per la delicatezza dei contenuti trattati, questo manga non riceve molto seguito né in patria né all’estero, restando ben al di sotto dell’Olimpo delle opere nipponiche, cosa molto triste a mio modesto parere, perché possiede dei significati e delle tematiche che sono rimaste nascoste, non comprese. Hōjō, in questa storia, crea una famiglia assolutamente fuori da ogni grazia divina, come direbbero i più puritani, contro ogni corrente possibile ed immaginabile, ma raccontata come se fosse una normale, qualunque altra famiglia. Data la particolare situazione, é destinata ad attirare a sé persone ancora più strambe, dando vita alle situazioni più impensabili.

F. Compo

Il tema trattato, come abbiamo detto, é molto delicato, ma Hōjō riesce a ricreare, con la sua maestrìa, circostanze divertenti dentro quelle difficili situazioni nella quale si vengono a trovare i protagonisti, alleggerendo e rendendo il tutto molto godibile. Ma la grande bravura dell’autore sta nel non esagerare mai nella “caricatura” del contesto e dei personaggi, nell’inserire i giusti dialoghi e la giusta impaginazione in ogni momento, i campi lunghi piuttosto dei primi piani, un’espressione smorzata piuttosto che un viso a tratti definiti, riuscendo a dar vita ad un insieme di vicende leggere in cui si trattano i problemi reali di queste persone diverse, ma come noi. Lo stesso protagonista, Masahiko Yanagiba, catapultato in questo mondo suo malgrado, alla fine si troverà a fare di tutto pur di aiutare la famiglia che ha imparato ad accettare e ad amare, nonostante sia stato vittima di numerosi “incidenti” che hanno ben poco di normale… e che avrebbero fatto scappare la maggior parte delle persone a gambe levate! Ma come si fa a non amare una famiglia come quella dei Wakanae? E qual é il maschietto che non vorrebbe una cugina come Shion? Diavolo, la vorrei pure io!

F. Compo – Masahiko e Shion

É la famiglia che tutti vorremmo, nella quale chiunque vorrebbe nascere, semplicemente circondati da persone che ti amano e rispettano per come sei in realtà, con tutti i tuoi difetti, indipendentemente dagli errori che puoi aver commesso e commettere in futuro, qualunque siano le tue scelte, ma che al tempo stesso ti correggono, sostenendoti ed accompagnandoti in ogni situazione, che sanno consigliarti perché magari hanno passato quel brutto momento anche loro, quella famiglia che pur di farti felice si caccia in qualche guaio, ma lo fa lo stesso perché tiene a te sul serio. Un lavoro del genere, un capolavoro di questa entità, proprio perché tratta con leggerezza ma con la dovuta serietà e matura consapevolezza tematiche delicate come la sessualità, dovrebbe esser analizzato sotto più aspetti, senza fermarsi al guscio arido ma scavando con le unghie e con i denti, fino a trovare il frutto succoso e dolce all’interno, assaporandolo con gusto, consapevoli di aver trovato un’opera di grande valore.

F. Compo – Shion Wakanae

Questo grande autore é una rara fusione di pura arte e forte sentimento, é un qualcosa che ti entra dentro e ti spinge a guardarti sotto altri aspetti, che magari tu stesso non sapevi di possedere. Senza dubbio é un’esperienza da fare, almeno una volta nella vita.