Uno dei problemi principali per chi crea esperienze in VR è quello dell’audience: come possiamo rendere le persone più interessate a questo media? Fanheart3, in collaborazione con XRMust, ne ha parlato con Victor Agulhon, co-fondatore dell’azienda di produzione TARGO

Questa intervista è disponibile anche nella sua versione originaria in inglese sul sito XRMust – About Immersive Storytelling.


L’audience è, per chi crea film, telefilm e in generale produzioni mediatiche, qualcosa senza cui non vivi, ma che fai una fatica terribile a compiacere.

Ne parlavamo qualche giorno fa con alcuni studenti di una scuola sull’audiovisivo in Italia, i quali giustamente evidenziavano che quando crei un prodotto stai sempre camminando una linea sottile: quella che separa l’esigenza di inserire elementi, nelle tue creazioni, che attirino il pubblico e il non snaturare ciò che vuoi dire, la specificità del tuo lavoro e persino la sua coerenza.

Insomma, il rischio di creare qualcosa di finto è dietro l’angolo e sappiamo bene che una volta che ad una produzione viene affibbiata l’etichetta “fan service” i fan stessi iniziano a guardarla con una certa diffidenza.

Eppure, se non richiami l’interesse dell’audience non vai da nessuna parte. Che sia piccola o grande, che sia una che scrive fanfiction e crea fanart o che subisca più passivamente il prodotto, il tuo lavoro ne ha necessità estrema e spesso la sua sopravvivenza dipende da essa. In senso buono (Star Trek) e… buono comunque (gli spin-off di Supernatural cancellati). Internet ce ne ricorda vari esempi:

Fan campaigns that saved TV shows from cancellation

Emily Kubincanek @ Stacker

16 times fans saved TV shows from cancellation

Anjelica Oswald @ Insider

Un ambito in cui si sta discutendo molto di audience e di come attirarne lo sguardo è quello della virtual reality e, in generale, delle produzioni immersive. La difficoltà che si riscontra in questo settore non è nemmeno tanto la mancanza di interesse nel possibile pubblico, ma proprio l’incomprensione del pubblico riguardo ciò che la VR potrebbe aggiungere alle esperienze che già fanno e alle loro passioni. Perchè non l’hanno mai provata, perchè sono convinte che si tratti solo di una cosa da videogames o ancora – no bene – perchè l’unica cosa che hanno fatto in VR sono state le montagne russe e stanno ancora cercando di ritrovare il loro stomaco che li ha abbandonati dopo esattamente 30 secondi dall’inizio dell’esperienza.

Per questo motivo, quando abbiamo sentito Victor Agulhon, co-fondatore di TARGO, azienda che crea produzioni in VR, parlare di “mainstream VR” alla conferenza Laval Virtual, non abbiamo avuto dubbi sul fatto che l’argomento fosse da approfondire anche con lui, per capire che cosa si intendesse con mainstream e come rendere tale la VR. In particolare in considerazione del fatto che TARGO si occupa di documentari, da sempre un ambito di interesse per i fan (soprattutto se coinvolge gli Angela), che non solo sono curiosoni per natura e desiderano scoprire meglio il mondo in cui vivono, ma soprattutto vogliono conoscere e comprendere nei dettagli quello narrato nelle storie di cui si considerano fan.

(Se mi dite che non avete iniziato a leggere e vedere tutto ciò che c’era su Chernobyl dopo l’uscita della serie non vi credo – qui il nostro articolo).

Scene di vita vissuta fra fanheartists. Indovinate chi è diventato un esperto di spedizioni nell’Artico fatte dalla Marina Inglese nel 1700 e 1800? Alcune curiosità

Dopo aver guardato alcune produzioni della TARGO (niente Artico… ma in effetti c’era il Polo Sud), abbiamo perciò contattato Victor e discusso il suo lavoro e l’approccio alla VR della sua azienda.

Ecco quanto ci ha raccontato.


Victor Agulhon (TARGO): l’intervista

Agnese: Fanheart3 è un’associazione che si occupa di fan communities e del loro ruolo nella produzione culturale. Mainstream è, in effetti, un concetto su cui ci capita di soffermarci spesso. L’anno scorso, ad esempio, eravamo alla 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica con un premio collaterale dedicato ai film potenzialmente più interessanti per i fan (fanheart3 awards) e sempre lì abbiamo seguito da vicino anche la sezione VR. Che cosa intendi quando parli di “mainstream VR”?

Victor: Mainstream vuol dire che deve parlare ad un pubblico vasto. Non esiste una definizione esatta di cosa significhi. Un prodotto mainstream deve essere attraente in modo da incuriosire un gran numero di persone. Una storia tradizionale può essere sintetizzata in un one-liner ben realizzato.

Nella VR credo sia particolarmente importante cercare di creare esperienze che siano mainstream: fino a che non ci saranno bilioni di utenti anche per questo media, creare esperienze mainstream rimarrà un modo per far avanzare la tecnologia e anche reclutare nuovi fruitori.

Oggi, i contenuti creati in virtual reality si polarizzano su due estremi: da un lato hai videogame che, ovviamente, si rivolgo soprattutto a gamers; dall’altra hai esperienze artistiche complesse che hanno come target principale i festival incentrati sulla VR. Con TARGO miriamo a riempire lo spazio fra i due con delle storie che davvero si rivolgano al grande pubblico.

Rebuilding Notre Dame (uno dei nostri ultimi documentari) è un buon esempio di ciò che consideriamo mainstream: Notre Dame è un monumento che parla a tutti e da cui tutti si sentono toccati: nel 2019 l’incendio è diventata la notizia più cercata online. Ciò dimostra che ognuno di noi è incuriosito da questo luogo e interessato ad esso. Esperienze come questa sono accessibili dunque sia in termini narrativi che ovviamente per l’accesso unico ed esclusivo che garantiscono.

Al tempo stesso, mainstream non vuol dire elementare. Noi prendiamo argomenti che siano mainstream, li rielaboriamo, lavoriamo per renderli un po’ più sottili e per trasmettere una certa quantità di informazioni. Certo non siamo mainstream come può esserlo un giro sulle montagne russe in VR. Siamo mainstream nel senso che vogliamo richiamare un’audience il più ampia possibile attraverso i nostri documentari.

Dobbiamo tenere a mente che stiamo lavorando con una tecnologia che arriverà nelle mani di milioni – e negli anni bilioni – di persone. Proprio per questo dobbiamo creare contenuti che parlino a queste persone. Noi, almeno, la pensiamo così.

Agnese: Durante il tuo intervento hai parlato di tre elementi che vanno presi in considerazione quando si cerca di creare un lavoro VR che sia mainstream: grandi personaggi, una buona storia e una perfetta ambientazione. Che cosa ci puoi dire di questi elementi?

Victor: Questi elementi sono importanti in ogni produzione, ma penso che il luogo giusto sia ancora più rilevante in quelle in VR. In tutti gli altri media, ci sono storie che puoi raccontare al di là del posto in cui si svolgono. Nella VR devi raccontare una storia che accada in un determinato luogo. E’ il punto da cui inizi, è dove si trovano le persone. E’ il centro della VR e deve funzionare. Sistematicamente noi scegliamo posti che colpiscano, belli o chiusi al pubblico. Bisogna che l’utente percepisca di star vivendo un privilegio – l’offerta di qualcosa di unico.


[…] stiamo lavorando con una tecnologia che arriverà nelle mani di milioni e negli anni bilioni di persone. Proprio per questo dobbiamo creare contenuti che parlino a queste persone.

About mainstream VR

Credo che l’importanza dei personaggi sia universale e che conti in tutte le storie e in tutti i media. La VR è specifica nel senso che crea prossimità fra utente e personaggio. Alle volte può capitare che tu voglia conoscere certe persone, ma evitare di trovarti nella stessa stanza con loro. Nella VR potresti non avere questa scelta – hai la sensazione di essere faccia a faccia con qualcuno. Devi perciò essere disponibile all’idea di sederti di fronte a questa persona e di creare una connessione personale con lei.

Agnese: C’è un lavoro, fra quelli creati da TARGO, che trovi particolarmente significativo in relazione a questi tre elementi – storia, personaggi, luogo?

Victor: Al di là di “Rebuilding Notre Dame” — ce ne sono alcuni, sì, che amo proprio perchè combinano questi tre aspetti.

Mi viene in mente “The Overview Effect”, la nostra Odissea spaziale. E’ un documentario in cui un astronauta condivide la sua esperienza di overview effect (effetto panoramica), un cambiamento nella consapevolezza che le persone esperiscono quando vedono la Terra dallo spazio. E’ il rendersi conto di quanto la Terra sia un tutt’uno, ma anche un luogo fragile. Il documentario è stato girato nella natura, nei Pirenei, dove si trova il telescopio più grande di Francia. Ma abbiamo anche creato una ricostruzione in 3D della Terra dallo spazio. E’ un pezzo davvero potente – c’è così tanta diversità e il messaggio risuona forte in questo nostro tempo. In questo caso, personaggio e storia sono stati molto significativi.

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Scopri The Overview Effect (TARGO)

L’altro lavoro che mi viene in mente è “Solo to the South Pole”. E’ l’esperienza di Matthieu Tordeur, un giovane esploratore francese che attraversa l’Antartico in solitudine. E’ un ragazzo estremamente socievole e per l’intero documentario ti sembra di essere lì con lui, nella sua avventura al Polo Sud. Una sensazione che ti fa sentire davvero potente.

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Scopri Solo to the South Pole (TARGO)

Ora stiamo lavorando a nuovi documentari che esploreranno nuovi generi e nuovi contenuti – abbiamo filmato la vita delle donne in prigione, una ballerina famosa dell’Opera di Parigi… un sacco di nuovi produzioni e tanta diversità!

Agnese: Ho visto The Overview Effect! Mi ha fatto venire la pelle d’oca immaginare quello che si sente a vedere le cose da lassù… Ho notato che questo lavoro è su YouTubeVR, mentre altri lavori che avete creato sono disponibili solamente a chi utilizza un visore.

Victor: Per la maggior parte dei nostri lavori preferiamo una distribuzione esclusiva per i visori di VR – è qui che i nostri documentari mostrano la vera forza.

Ogni tanto facciamo delle eccezioni perchè pensiamo che il valore dei contenuti possa emergere anche in un video a 360° mostrato su uno schermo piatto. Per esempio, abbiamo fatto uscire una serie di documentari sulle città svuotate dal lockdown. Erano disponibili sia in VR che a 360° su Facebook: dipende dal contenuto. In quel caso, la desolazione delle strade a 360° risulta altrettanto potente anche su uno schermo piatto. I nostri pezzi sono fatti per la VR, però, e quindi è quello lo strumento che privilegiamo.

E c’è anche un motivo preciso per cui lo facciamo: ciò che rende la VR stimolante è la radicale differenza rispetto a del buon contenuto video in 2D. Quando guardi filmati in 2D su uno schermo piatto, come quello dei cellulari, trovi contenuti che sono estremamente dinamici: i video sono molto veloci e ci sono molti tagli – sono creati così proprio per catturare la nostra attenzione.

Nella VR ogni scena dura circa otto secondi. E questo è perchè gli utenti devono avere il tempo di esplorare l’ambiente e sentirsi a proprio agio.

Dunque, se metti dei contenuti in VR su uno schermo piatto, rischi che sembrino terribilmente lenti e frustranti per lo spettatore. Alla fine, ciò che preferiamo è buttar fuori un trailer in 2D dell’esperienza che sia davvero coinvolgente e che stimoli le persone a prendere in mano il visore e guardare l’intera produzione in realtà virtuale.

Agnese: Che cosa ha aggiunto la VR al mondo del documentario?

Victor: Uno dei motivi per cui si fa fatica a comprendere appieno la novità che è la VR è il fatto che non porta un cambiamento quantitativamente misurabile. Non abbiamo dati che ci permettano di definirlo. Nessuno può dire “la VR è del 25% migliore dei media tradizionali”. Possiamo solamente misurarne la qualità: questo tipo di esperienza è meglio in VR? La gente la sta usando? Alla gente piace usarla?

Alla fine, penso sia la stessa cosa con ogni media mai esistito. Che cosa ha apportato la TV a colori alla TV in bianco e nero? C’è sempre un qualche tipo di miglioramento qualitativo e questo credo sia esattamente ciò che sta succedendo con la realtà virtuale. Non è certo il media ideale per tutti i contenuti, ma c’è una categoria di contenuti per cui la VR è effettivamente la soluzione migliore.

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The Wings of Mosul, il documentario di TARGO vincitore del Lumiere Award The People’s Choice 2019

Prendiamo l’esempio di Notre-Dame: la cattedrale ormai è chiusa da più di un anno. Nessuno può entrare eppure le persone vogliono visitarla. Poterlo fare tramite la VR è molto più efficace che vedere dei film che ne parlano.

E’ come quando sei fan di qualcuno e vuoi incontrarlo. Il modo che ti può far sentire più vicino ad essi nella vita reale è essere insieme a loro nella realtà virtuale – è qualcosa di irrazionale, sì. Ma è sulla porta di questa irrazionalità che in qualche modo bussa la VR.

Tutto ruota attorno al senso di presenza, al sentirsi più preccupati di qualcosa semplicemente perchè avviene davanti ai tuoi occhi. Il nostro documentario “The Wings of Mosul” esplora le rovine di una città con un gruppo di amici che sono sopravvissuti all’occupazione dell’ISIS. La sensazione è quella di scoprire queste rovine, di sentire le loro storie in modo radicalmente diverso da quanto avviene in TV – ed è molto, molto più potente, proprio perchè la VR lo fa sembrare più reale.

Agnese: Per quanto riguarda Notre-Dame, hai inziato a lavorarci prima dell’incendio?

Victor: Abbiamo iniziato a lavorare sul progetto Notre-Dame circa due anni fa. Originariamente volevamo mostrare la bellezza della Cattedrale e rivelare i suoi segreti rendendoli accessibile a tutti attraverso la VR. Ci è stato anche concesso il pieno accesso alla cattedrale a dicembre e gennaio. In quei tre giorni di riprese, abbiamo potuto filmare ogni dettaglio e catturare davvero la magia del luogo.

Poi, tre mesi dopo, la Cattedrale ha preso fuoco e abbiamo realizzato che il girato per la produzione originaria era diventato del materiale prezioso. Se ne stava lì, nei nostri hard drive, ma dopo l’incendio si era trasformato in qualcosa di davvero rilevante.

Ci abbiamo messo un po’ a capire come volevamo usarlo e che cosa volevamo dire con esso. Fin dall’inizio sapevamo di voler fare qualcosa di questo girato che potesse tornare utile e fosse significativo per le persone e per la stessa Cattedrale. E così abbiamo iniziato a lavorare ad un progetto assieme ad Oculus incentrato sull’incendio, che fosse un tributo e una celebrazione di Notre-Dame. Oggi, il documentario è disponibile su Oculus TV e, a partire da luglio, sarà presentato anche nei cinema di Parigi.


I festival sono come dei fari. Riescono ad identificare molto presto quelle che sono le potenzialità di un lavoro – una cosa che è ottima per la nostra industria in generale. Il rovescio della medaglia è che questo processo di identificazione precoce funziona attraverso la convalida fra pari e non attraverso una convalida pubblica. Quindi il target di molti progetti diventano i festival stessi, e non l’audience in generale.


Agnese: Uno dei luoghi principali in cui viene portata la VR oggi sono i festival. Ma, devo dire, alle volte ho l’impressione che i festival non parlino davvero all’audience, quella ampia, che c’è là fuori. Cosa ne pensi?

Victor: I festival alle volte non sono in contatto con il pubblico più ampio, ma è anche perché è il loro lavoro. Vengono fatti per rilevare nuove tendenze, le prossime “grandi cose”. La scelta del pubblico viene effettuata in un secondo momento, sulle piattaforme di streaming. Il lato buono dei festival, però, è che sono come dei fari. Riescono ad identificare molto presto quelle che sono le potenzialità di un lavoro – una cosa che è ottima per la nostra industria in generale. Il rovescio della medaglia è che questo processo di identificazione precoce funziona attraverso la convalida fra pari e non attraverso una convalida pubblica. Quindi il target di molti progetti diventano i festival stessi, e non l’audience in generale. Nel fare questo, a volte vengono creati dei lavori che non parlano all’audience mainstream, o in cui l’audience non riesce ad identificarsi in alcun modo. L’obiettivo primario che abbiamo a TARGO è proprio parlare a questo tipo di audience e se poi le nostre produzioni finiscono anche nei festival, ben venga! Ma non è ciò su cui ci focalizziamo davvero.

Agnese: Che cosa ha in serbo il futuro per TARGO?

Victor: Oggi abbiamo provato che c’è chiaramente interesse per storie non di fiction nella virtual reality – ci sono tantissime persone che guardano i nostri documentari a 360°. Pensiamo che la prossima fase sarà la libertà di movimento – permettere alle persone di camminare all’interno dei nostri lavori. A livello di azienda ciò vorrebbe sostanzialmente dire evolversi dal video alla reale tecnologia in 3D: ovvero utilizzare la tecnologia dei videogiochi per applicarla a contenuti di tipo narrativo.

Ciò apre anche tutta una serie di possibilità in termini di modello di business e per monetizzare le esperienze. Le persone raramente pagano per vedere dei video – e nella nostra testa i video dovrebbero essere liberi. Certo, siamo disposti a pagare per la comodità (Netflix) o per l’esperienza (il cinema), ma raramente paghiamo semplicemente per un video. Quello che ci immaginiamo è di prendere in presto dal gaming la tecnologia e unirla alla narrazione a 360° per creare una nuova miscela.

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TARGO al festival Rock en Seine nel 2019

Potete conoscere più da vicino TARGO e quanto creano visitando il loro sito ufficiale e la loro pagina FB.

Un ringraziamento speciale a Victor per questo approfondimento sul mondo della VR e del documentario e per la possibilità che ci sta dando, con TARGO, di visitare posti mai visti e sognare vite mai vissute. Noi facciamo parte con fierezza di quell’audience mainstream di cui parla e quindi possiamo dirlo: queste produzioni? Senza dubbio meritano il nostro amore.


Agnese

Presidente, autrice. "The only way to be happy is to love. Unless you love, your life will flash by" The Tree of Life, 2011