In uscita il 3 luglio su Disney+, Hamilton è un musical che sta segnando un’epoca e quanto mai rilevante in questo periodo storico. Ecco 5 motivazioni da fan per cui non perderlo assolutamente!


Era il 2018 quando posi al mondo di Tumblr la domanda di cui sopra. La mia bacheca era letteralmente invasa da post su questo musical e… avete presente la sensazione del “Mi sto perdendo qualcosa?” (la stessa che in effetti provo oggi vedendo i gifset su The Untamed e le fanart su The Magnus Archive). E, insomma, dovevo capire cosa.

Il post non ricevette notes, ma io mi ritrovai almeno tre risposte diverse nella casella postale che spiegavano nei dettagli i motivi per cui questo musical “s’ha da vedere”.

Oggi, a distanza di due anni e ripetuti ascolti, uno spettacolo teatrale a Londra e una nuova suoneria sul cellulare (My Shot… OBVIOUSLY), ho capito di persona queste motivazioni e con l’uscita, il 3 luglio, su Disney+ della produzione Broadway originaria, ho pensato che fosse il momento giusto per condividerle con chi, fra voi, di questo musical ancora sa poco.

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Scenografia di Hamilton al Victoria Palace Theatre di Londra

Cinque motivi per vedere Hamilton

Di cosa parla Hamilton? Il musical narra la vita di Alexander Hamilton,  politico, generale ed economista americano, nonchè uno dei padri fondatori degli Stati Uniti (sì, gli stessi che si stanno auto-distruggendo oggi), ucciso il 12 luglio 1804 nel corso di un duello. Se qualcuno di voi ha una banconota da dieci dollari in casa, l’omino che vedete sopra? Ecco, quello è Alexander Hamilton.

Che vi interessi la Storia (con la S maiuscola) o meno, che siate appassionati di musical o preferiate altri generi, sappiate che c’è qualcosa di talmente grande in questo lavoro – per molteplici motivi, alcuni dei quali passeremo in rassegna ora – che davvero qui a fanheart3 faremo carte false per convincervi a guardarlo.

E quindi, partiamo dal primo, quello che risponde alla domanda “Perchè fare un musical su uno dei padri fondatori? A chi interessa, a parte, forse qualche americano?”

What’s your name, man? Alexander Hamilton!

La vita di Alexander Hamilton è talmente, ma talmente cinematografica, che personalmente ci ho costruito un intero personaggio di D&D sopra (ciao Tex, ti amiamo).

Quella che vi riporto ora è la canzone che apre il musical. La prima cosa che ho ascoltato e al termine della quale ho detto, “Ah, ecco”.

Sapete quella sensazione che vi viene ogni tanto quando ad un certo punto, in una musica, c’è un passaggio sonoro o una frase che vi fanno venire “i brividini” dietro il collo e sulla nuca e poi scendono sulla schiena e vi emozionate dentro e magari siete anche un po’ commossi? Non so se sia Stendhal, ma credo che abbiate capito a che sensazione mi riferisco. Questo è stato su di me l’effetto di questa canzone.

E sì, lo so, il video ha una qualità un po’ “meh” e il testo è difficile da seguire (un punto su cui torneremo nel finale). Ma ascoltate e riascoltate perchè vorrete averlo imparato a memoria quando vi metterete finalmente davanti a quello schermo.


Musica e testi di Hamilton: qualità degna di Pulitzer

E no, non è un modo di dire. Il Pulitzer, Hamilton – o meglio, Lin Manuel Miranda, il suo autore – l’ha vinto davvero. Nello specifico il Pulitzer Prize for Drama, ovvero uno dei sette premi assegnati ai Pulitzer ogni anno.

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“Columbia University President Lee C. Bollinger (left) presents the 2016 Drama Prize to Lin-Manuel Miranda” (foto presa dalla pagina ufficiale dei Pulizter)

Una volta però che si finisce di ascoltare le oltre 40 canzoni che compongono il musical non si fa fatica a comprendere il perchè.

Death doesn’t discriminate
between the sinners and the saints,
it takes and it takes an it takes

E sì, Hamilton è hip hop ed è rap. Rap melodico? Non me ne intendo a sufficienza e, come si potrà dedurre, non sono un’appassionata del genere. E se anche voi non lo siete non fatevi fermare dalla cosa, perché la musica vi entrerà talmente tanto in testa che l’unica cosa per cui soffrirete è che il vostro inglese non è sufficientemente buono per star dietro ai testi quando vi ritroverete a cantarli. All’inizio almeno. Al trentesimo ascolto sembrerete madrelingua.


Who lives, who dies, who tells your story

Un punto che rimarrà in parte segreto, per evitare spoiler, ma piccola storia di contorno: ricordo di aver passato l’ultimo viaggio aereo per Londra (pre-Covid, sigh!) ascoltando tutta la prima parte del musical. Sapevo che mi sarebbe piaciuto andare a vederlo a teatro, ma anche che i testi erano complessi e dovevo un po’ impararli se volevo procedere con i piani malvagi.

Il viaggio aereo per Londra, fra partenza e atterraggio e ansia da smaltire, non è poi così lungo, però, e così mi sono limitata al primo atto, lasciando tutta la seconda parte alla sorpresa.

E sorpresa è stata. In particolare con il finale. La bellezza di quell’ultima canzone, data da chi la canta e dal suo significato, ci ha talmente tanto colpito che a fine show io e le cugine – con me a teatro – eravamo in singhiozzi e ci abbiamo messo un po’ a riprenderci a sufficienza per lasciare la sala senza sembrare dei bassethound.

Anche oggi, quando il cuore chiama, è quella la canzone da cui parto. E su questo punto non aggiungerò altro se non “I put myself back in the narrative”… e auguri, gente.


Take this, America: ovvero Hamilton e il vero sogno americano

Hamilton sembra arrivare sul grande schermo nel momento giusto e probabilmente non è nemmeno un caso. In una situazione statunitense ormai tragica, in cui il razzismo sembra averci riportato agli anni 50 e fra le persone che ci proteggono si celano anche dei mostri, questo musical con la sua diversità e un cast fatto da neri, asiatici, ispanici e razze miste di tutti i generi è un ristoro per i cuori.

Se poi a farsi sentire vengono chiamate anche figure ostracizzate come gli immigrati, al centro di questo “storia”, ecco che finalmente il sogno americano – quello di una volta, quello che i libri, i film, le canzoni sembravano narrare – prende vita davvero davanti ai nostri occhi.

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Personalmente reggo poco le social justice war e ho un troppo rispetto per i monumenti/l’arte da considerare accettabile distruggerli (fosse anche solamente per ricordare che siamo passati anche per cose brutte)… ma vedere quello che una persona arrivata dal nulla riesce a creare riempie l’animo di orgoglio e di speranza. Citiamo per completezza, a riguardo, questo articolo di Forbes e il video correlato.


Welcome to the fandom

Ditelo che anche per voi scoprire che esiste un fandom dietro una certa produzione è motivo in più per lasciarvi cadere nel vortice con serenità. Andate sul tranquillo perchè sapete che troverete fanfiction, che qualcuno sta creando fanart e che ci saranno modi di dire e battute tipiche da apprendere che vi permetteranno di godervi appieno la sensazione di essere in una “società segreta”…

Important realizations are important

Se già ad oggi l’ammontare di materiale non lascia a desiderare (oltre le 17.200 fanfiction su AO3) , prevediamo che ci sarà un nuovo boom a partire dai prossimi giorni.

E una curiosità… avete presente questo tipo di giset? Accompagnati da una frase poetica ma che non riuscite a contestualizzare? Ecco, in moltissimi casi sono frasi prese da Hamilton.

Come qui.

E qui.

E anche qui.

…giusto per citarne alcuni.


Ore 00.28: il musical ancora non risulta disponibile. Ma è questione di ore. Perciò ci rivediamo fra un po’ su questi schermi e nel frattempo, se ancora non l’avete visto, potete recuperarne il trailer Disney+ qui sotto:

History has its eyes on all of us, now.


Agnese

Presidente, autrice. "The only way to be happy is to love. Unless you love, your life will flash by" The Tree of Life, 2011