Comprendiamo meglio le dinamiche che legano la psicologia ai videogiochi attraverso le parole di chi ha fatto di questo argomento il suo lavoro: intervista a Psicologia dei Videogiochi – Horizon Psytech & Games


 

Ultimamente ci siamo ritrovati spesso a parlare di psicologia in occasione dell’uscita di una serie di telefilm che hanno affrontato da vicino il suo rapporto con una delle questioni più dibattute e più affascinanti che la televisione ama presentare: quella della devianza. Cosa spinge qualcuno a compiere atti terribili? L’essere umano è intrinsecamente buono o malvagio? O quando, come e perchè si trasforma in una cosa o in un’altra? Manhunt: Unabomber, Mindhunter, The Alienist sono tutti tv-show recenti che ci hanno permesso di soffermarci su queste domande e studiare cosa può dire un telefilm sulla psicologia… ma anche cosa possono trovare da dire quanti sono interessati alla psicologia su serie tv come queste.

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La nostra triade del cuore per il tema telefilm/psicologia

Ma la devianza non è l’unico argomento di interesse quando si parla di psicologia… e certo cinema e televisione non sono nemmeno gli unici media che interessano quanti studiano l’animo umano.

Un altro ambito di altrettanta potenza e influenza – e su cui da sempre molto si discute (e alle volte discutono anche quanti di psicologia sanno davvero ben poco) – è quello dei videogiochi. Nella loro varietà e nelle loro caratteristiche di fruizione essi danno modo di aprire una finestra sulle persone che vi sono appassionate, ma possono anche diventare uno strumento per educare, formare, aiutare a risolvere certi blocchi psicologici o approfondire lo studio di determinate questioni.

Nelle scorse settimane abbiamo avuto occasione di imbatterci in chi ha fatto del rapporto fra psicologia e videgames il suo focus di analisi. Psicologia dei Videogiochi – Horizon Psytech & Games è una realtà che ci ha subito colpito tantissimo. Nella serietà scientifica delle analisi che porta avanti e nell’efficacia degli strumenti che sviluppa, è riuscita a mantenere una semplicità di comunicazione che fa respirare la palese passione di quanti collaborano con essa e anche il loro essere fan dentro. Ma fan che amano riflettere sul loro essere fan, un po’ come l’accademica Thessa Jensen, con cui ci siamo confrontati in questa interessante intervista nelle scorse settimane.

Abbiamo dunque contattato anche loro, chiedendo opinioni e qualche spiegazione su alcune questioni che ci toccano un po’ da vicino. Le risposte date da Andrea, che si occupa anche della gestione della pagina Facebook di Psicologia dei Videogiochi, ci hanno stimolato e fatto riflettere su molti nostri preconcetti e un po’ per questo abbiamo deciso di offrirvi la versione completa di quanto raccontatoci, senza tagli o eccessive “intromissioni” da parte nostra. Ecco cosa ci hanno scritto.


 

Psicologia dei Videogiochi, l’intervista

 

Partiamo dall’inizio: come è nata Psicologia dei Videogiochi e quali sono stati i momenti più significativi che avete vissuto in questi anni?

Psicologia dei Videogiochi è nata durante un progetto universitario, con l’obiettivo di creare un blog che parlasse di psicologia e di un altro argomento a nostra scelta. Da buoni videogiocatori non abbiamo avuto dubbi e ci siamo lanciati alla creazione del blog, impostando il sito e scrivendo i primi articoli. Il tema, innovativo e inusuale, ha sorpreso in positivo il nostro professore e non solo. In pochissimo tempo, con nostra sorpresa, siamo infatti stati contattati per parlare del nostro lavoro all’Università degli studi di Milano Bicocca a una classe di quasi 200 persone.

Da quel momento ho capito che stavamo creando qualcosa di grande; a quel punto, io e i miei colleghi abbiamo deciso di investire tempo ed energie alla cura del blog e della community che si stava creando ed il momento più significativo è stata proprio l’evoluzione di Psicologia dei Videogiochi in Horizon Psytech & Games, che ha trasformato il nostro hobby in un vero e proprio lavoro.

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Horizon Psytech & Games. Quando una passione diviene anche un lavoro

 

Quali sono le principali attività di cui vi occupate? Ce n’è una che ti è particolarmente cara?

Ci occupiamo di moltissime attività legate all’ambito dei videogiochi, soprattutto correlate alla psicologia (se non si fosse capito).

Per quanto riguarda il mondo degli esport, ad esempio, puntiamo a preparare e formare nel migliore dei modi atleti professionisti, focalizzandoci soprattutto sugli aspetti psicologici e mentali.

Parlando strettamente di videogiochi, invece, lavoriamo su più fronti: dal pubblicizzare prodotti indie a indagini di mercato, fino ad arrivare alla più complessa valutazione di usabilità da parte dell’utente e di progettazione di nuovi videogiochi con temi psicologici. Attualmente stiamo preparando Fates, un gdr per cellulare.

Infine, la mia attività preferita: la media e videogame education per genitori e giocatori. Teniamo conferenze attraverso le quali cerchiamo di sradicare tutti quegli stereotipi negativi che si sono consolidati nella mente di molti genitori, che non sanno come comportarsi con i propri figli quando si parla di videogiochi. Abbiamo anche tenuto dei corsi di potenziamento di life skills destinati a ragazzi di scuole superiori tramite l’utilizzo dei videogiochi, e punteremo ad organizzarne qualcuno magari destinato a giocatori più piccini.

 

La vostra pagina Facebook è molto attiva ed è interessante leggere i commenti che vi lasciano gli appassionati di videogiochi sia a questioni più leggere che a questioni più serie. Vorrei dunque chiederti: qual è in generale la percezione che hai della comunità di fan che ruota attorno ai videogiochi? Se dovessi creare degli idealtipi di “Fan di Videogiochi”, quali sarebbero e come descriveresti le loro caratteristiche principali?

Sono molto contento di come sta andando la nostra pagina Facebook e adoro la community che si sta pian piano formando. Molti utenti sono attivi, a volte lasciando quesiti particolarmente interessanti sotto i nostri articoli e, altre, qualche critica (che non fa mai male). Alcuni fan, da un anno e mezzo a questa parte, hanno inoltre deciso di mettersi in gioco e collaborare con noi, diventando articolisti. Grazie alla loro passione e competenza hanno contribuito a creare contenuti sempre di qualità, e per questo a loro va un ringraziamento speciale.

Rispondendo alla domanda, non mi piace l’idea di “catalogare” i videogiocatori poiché si tratta di una community particolare e variegata, con aspetti positivi e negativi. E’ vero che i social danno visibilità a parecchi “hater” o “flamer”, che cercano di attirare l’attenzione parlando male di qualche videogioco solo perchè “va di moda” parlarne male, ma la mia esperienza è di una community composta soprattutto da persone che condividono un interesse, e collaborano le une con le altre. Vi porto un esempio personale: per alcune nostre ricerche avevamo bisogno di videogiocatori che ci aiutassero, compilando dei questionari. Abbiamo quindi condiviso il nostro appello su diversi gruppi Facebook destinati a videogiocatori e, oltre all’aiuto concreto della compilazione, abbiamo ricevuto diverse richieste di approfondimento a proposito della ricerca in corso, tanto che alcuni hanno lasciato il proprio indirizzo mail per essere ricontattati a lavoro ultimato. Questo ci spinge a dare il massimo, e ad essere ottimisti riguardo una possibile community di videogiocatori unita.

Nda: lasciateci aggiungere una gif che sembrerebbe alleggerire forse troppo gli importanti argomenti di riflessione, ma a nostro parere è assolutamente meritata:

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Avete all’attivo diversi approfondimenti sul rapporto che intercorre fra psicologia e videogiochi, fra cui la collaborazione alla recente ricerca su Resident Evil 7, che ho trovato proprio oggi online. Quali sono ad oggi le questioni che vengono maggiormente discusse a livello scientifico in questo ambito e quali quelle a cui, secondo te, bisognerebbe porre maggiore attenzione?

La ricerca su Resident Evil 7 è stata un progetto molto interessante nato dalla collaborazione con l’Università degli Studi Milano Bicocca che ci ha permesso di approfondire, a livello scientifico, le reazioni emotive scatenate non solo dai videogiochi ma anche da tecnologie parallele in diffusione, come i visori per la realtà virtuale. La ricerca sui videogiochi, ad oggi, si sta concentrando prettamente sul tema delle emozioni e dello stress (cosa lo provoca e cosa aiuta a diminuirlo) ma esistono altri temi rilevanti che muovono l’interesse sia della comunità scientifica che degli appassionati.

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Resident Evil 7, a cui avevamo accennato anche nell’intervista ad Augmenta,
azienda impegnata sui molti fronti di applicazione della VR

Una, se non la più discussa, questione interessante è la classica dicotomia tra videogiochi e violenza. E’ un tema delicato che purtroppo è trattato con superficialità: dai media, che lo strumentalizzano, e da alcuni ricercatori che spesso non hanno mai provato un videogioco.

Altre questioni interessanti che vengono ultimamente molto discusse riguardano i serious game: videogiochi con uno scopo non prettamente ludico, che vengono usati per migliorare dei comportamenti, potenziare determinate competenze o sensibilizzare le persone a determinati contenuti. Alcuni esempi sono: videogiochi per far smettere o diminuire il consumo di sigarette o di droghe, videogiochi per migliorare il team-work in ufficio o per sensibilizzare alla raccolta differenziata.

 

A riguardo, che cosa ne pensi dell’uso della VR in ambito ludico? Quali sono gli aspetti positivi dell’uso di questa tecnologia e quali le possibili conseguenze negative?

E’ da quando andavo alle elementari che sognavo di entrare nel mio videogioco preferito! (nda: questa cosa mi fa sentire molto meno sola, adesso).

La realtà virtuale è un ulteriore passo in avanti compiuto dai videogiochi e, grazie soprattutto a Sony (con Play Station VR) e a Samsung (con il visore per cellulare Samsung Gear), è stato possibile portare questa tecnologia nelle case di molti videogiocatori (nda: per gli interessati fra voi, qui un breve excursus sui passaggi principali della realtà virtuale a livello storico).

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Una famosa immagine di Ready Player One, l’ultimo film di Steven Spielberg
che tratta la virtual reality in un futuro distopico

La possibilità di immergersi in mondi virtuali cambia radicalmente il modo di giocare: si diventa il proprio personaggio, le emozioni che si provano sono amplificate e il senso di presenza è altissimo. Da vivere, e da vedere, è una cosa incredibile. Abbiamo visto videogiochi come Fruit Ninja VR coinvolgere totalmente anche persone di una certa età che, dimentiche di tutto, iniziano a muoversi senza pensare ad altro che alla frutta da tagliare. Tra i lati positivi di questa tecnologia, oltre al miglioramento dell’esperienza di gioco, c’è sicuramente da prendere in considerazione la componente non strettamente ludica: immaginate di essere un aspirante medico che, grazie alla VR, può diventare minuscolo ed “entrare” nel corpo del malato per osservare cosa succede all’interno dell’organismo, o di avere paura delle altezze: con la VR è possibile effettuare training per la riduzione delle fobie, esplorare ricostruzioni del corpo umano o della Via Lattea. Altri contenuti simili sono tutt’ora in via di sviluppo e le loro potenziali applicazioni sono molto interessanti.

Per quanto riguarda le possibili conseguenze negative, per adesso sappiamo solo che ad alcune persone questo sistema può causare “motion sickness”. Questo disturbo avviene quando il cervello del giocatore non riesce a percepire la differenza tra il mondo di gioco (che si sta muovendo) e il mondo esterno/reale (che è “fermo”), provocando nausea, mal di testa e un aumento del battito cardiaco al giocatore, che sentirà il bisogno di togliersi il caschetto. Questo avviene soprattutto con videogiochi di guida, che comportano alte velocità.

 

Chiedendo alle colleghe di fanheart3 quali questioni sarebbero state interessate ad approfondire con voi, mi hanno sottoposto un argomento a cui hai fatto accenno sopra e che è da anni sotto il mirino della psicologia: il discusso rapporto fra videogiochi e violenza. Che cosa puoi dirci a riguardo?

Purtroppo è un tema sempre attuale, difficile da eliminare. I videogiochi generano violenza? Come si fa a dimostrare? Attualmente non si può.

Dico solo che se un bambino di quattro anni cresce con GTA ovviamente può crescere con un modello valoriale sbagliato. E per questo motivo esiste il PEGI, ovvero il sistema d’età che ci permette di capire se un videogioco è adatto a noi. Come i film e le serie tv hanno i bollini (verde, giallo, rosso) per indicare il target, così i videogiochi hanno un proprio sistema di classificazione, che purtroppo non è particolarmente conosciuto dai genitori. Magari accontentano il figlio comprandogli un contenuto PEGI 18 senza preoccuparsi di capire cosa sia e poi danno la colpa ai videogiochi se il bambino inizia a dire parolacce. 

Alcuni studi dimostrano addirittura che i videogiochi violenti hanno una funzione di sfogo. Andando in giro a fare razzie o picchiare gente nel videogioco riduce quindi il livello di stress e quindi di aggressività del giocatore. Banalizzando il discorso, si può pensare alle arti marziali: come tutte le attività sportive aiutano a diminuire lo stress e non è imparando a tirare correttamente pugni e calci che si diventa aggressivi. Sono molti gli aspetti da considerare, in primis il contesto in cui determinati comportamenti e azioni vengono appresi.

 

Una questione che a titolo personale mi interessa molto è il rapporto fra tecnologia e narrazione. Alcuni developer tendono a privilegiare la prima, concentrandosi ad esempio sulla creazione di mondi estremamente veritieri; altri prestano più attenzione alla storia, a volte a scapito di altri aspetti come quelli grafici. Altri lavorano egregiamente ad entrambi. Tu che vedi questo mondo con l’occhio di uno psicologo ma anche di un appassionato: ritieni che questi elementi siano ugualmente importanti perchè una persona si senta davvero coinvolta in un videogioco o effettivamente uno è più rilevante dell’altro?

Questi elementi sono senza dubbio importantissimi anche se, personalmente, considero la narrazione l’aspetto più rilevante nel videogioco. Tuttavia, il connubio vincente si ha dall’unione della narrazione con il gameplay. I videogiochi più famosi non hanno una grafica realistica, eppure ci sono rimasti nel cuore proprio per l’aspetto narrativo (che colpisce emotivamente l’utente) e per l’aspetto di gameplay, che deve essere ben strutturato per rendere fluida l’esperienza di gioco ed immergere i giocatori al meglio nella narrazione. Questi due aspetti sono alla base di qualunque videogame di successo; la grafica realistica, per quanto importante, viene dopo.

 

Restando sul tema della domanda precedente, ultimamente alcune di noi a fanheart3 si sono molto appassionate a videogames che ricordano, per struttura, le serie televisive (come Batman Telltale o Life is Strange). Quali sono secondo te i migliori videogiochi che seguono questo indirizzo? E perchè questa tipologia di videogiochi piace?

Ecco, quando mettiamo la narrazione sopra il gameplay nascono delle perfette “serie tv” interattive, in cui il giocatore impersonifica un personaggio e deve compiere delle scelte che andranno a modificare la storia.

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Un’immagine tratta da Batman Telltale con una decisione dalle conseguenze… interessanti

Il videogioco che più mi è rimasto nel cuore è senza dubbio il primo capitolo di The Walking Dead della Telltale (nda: qui il trailer), con Lee e la piccola Clem, insieme ad un altro pilastro come Heavy Rain, esclusiva Playstation della Quantic Dream.

Questa tipologia di videogiochi piace per parecchi motivi: innanzitutto per la “struttura ad episodi” che ricorda quella di una serie tv o di una saga di film. In secondo luogo il fatto di decidere la sorte del personaggio ci permette di immedesimarci maggiormente nel gioco, in quanto alcune scelte sbagliate possono magari costare la vita del nostro personaggio o di qualche alleato. La forte rigiocabilità, poi, è un altro tassello che ha permesso il successo di questi videogiochi: se si cambiano le scelte anche la trama cambia, quindi è difficile che un videogioco di questo tipo possa annoiare nel breve termine.

 

Un altro fenomeno è quello di chi non gioca ai videogiochi ma ama vedere video di altri che giocano ai videogiochi. Che cosa ne pensi di questo fenomeno? Perchè una persona lo privilegia rispetto al giocare in prima persona?

I più grandi canali YouTube sono gestiti da persone che registrano le proprie sessioni di gioco. E centinaia di migliaia di persone li seguono. Questo per vari motivi: alcuni si affezionano allo youtuber che diverte, e dunque l’attenzione non è sul gioco ma sul giocatore. Altra ragione, a volte, è il costo elevato di alcuni videogiochi; se non ci si può permettere l’ultima uscita si tampona la curiosità guardando altri giocare. Legato a quest’ultima, spesso si sceglie di guardare un gameplay prima di decidere se acquistare il videogioco.

A mio parere è un buon fenomeno, in quanto in moltissimi casi si formano delle belle community di giocatori appassionati allo stesso genere, e grazie a Twitch si può comunicare direttamente con lo streamer.

In uno dei nostri articoli parliamo di questo fenomeno più approfonditamente: “Perché ci piace guardare chi gioca ai videogame?

 

Visitando il vostro sito è stato bellissimo vedere come voi che lavorate a Horizon Psytech siete riusciti a rendere quella che è una vostra passione anche un lavoro. Avresti dei suggerimenti da dare ai fan che desiderano seguire una carriera simile? Qual è il percorso migliore per arrivare a fare “il vostro mestiere”?

Se siamo riusciti a rendere questa passione un lavoro vero è proprio perchè, qui in Italia non esiste una realtà forte come la nostra; siamo stati un po’ i capostipiti.

Quindi il mio consiglio è quello di focalizzarsi sulla connessione di più passioni, cercare di creare qualcosa che ancora non esiste, ma di cui invece c’è bisogno. Noi amiamo sia la psicologia sia i videogiochi e dall’unione è nato il tutto. Sembra banale detto così, ma bisogna anche crederci e lavorare sodo, condividendo magari il progetto con un gruppo che ha le stesse passioni e, perché no, competenze diverse.

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Al di là dei tuoi gusti personali, quali sono secondo te i 3 videogiochi della storia che in assoluto possono considerarsi i più significativi per i fan di videogames? Perchè li ritieni rilevanti e come mai, a tuo parere, hanno avuto questo impatto?

Questa è forse la domanda più difficile! Ci sono decine di videogiochi che hanno fatto la storia dei videogiochi, è difficilissimo elencarne solamente tre.

Anche se non sono un fan degli fps, non posso che mettere sul podio DOOM, che è stato il capostipite di un genere che coinvolge milioni di giocatori in tutto il mondo.

Altra serie videoludica che ha cambiato il mondo riguarda senza dubbio i POKEMON: dai primissimi Pokèmon Blu e Rosso, che hanno sbancato in tutto il mondo, creando un fenomeno mondiale. In più hanno dimostrato di essere un prodotto adatto ad ogni età, rinnovandosi ed evolvendosi negli anni.

Infine, The Legend of Zelda: Ocarina of Time non può mancare in questa classifica, per la sua qualità grafica all’epoca sorprendente, per la colonna sonora e per la qualità della narrazione, che ha dato il via ad una nuova epoca.

Menzione d’onore a Tomb Raider, che ha stravolto tutti i canoni. Una donna protagonista di un videogioco d’azione non si era mai vista. Chapeau.

 

Un’ultima domanda personale: qual è invece il tuo videogioco preferito e perchè ti consideri fan di questo videogioco? Ci racconti qualche aneddoto legato alla comunità di fan di questo specifico videogioco?

Il mio gioco preferito è senz’altro The Legend of Zelda: The Wind Waker, con la sua grafica in cel-shading. Sono un suo fan fin da quando l’ho provato da bambino, per più motivi: i colori accesi e brillanti, la varietà di dungeon e mostri, un open world enorme (all’epoca) fatto di arcipelaghi ed isole da esplorare interamente. Per un ragazzo delle medie, era tutto ciò che si poteva desiderare. La community di fan che ruota attorno a Zelda personalmente non la conosco benissimo, ma adoro tutti i lavori e le fanart, oltre ai remix musicali della sua colonna sonora da parte dei fan.

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“Legend of Zelda Breath of the Wild Speed Paint”
fanart di Corey Loving Art (deviantart | sito ufficiale)


Al termine di questa intervista non possiamo che ringraziare Andrea di Horizon Psytech non soltanto per la disponibilità dimostrata ma anche per averci, con le sue parole, reso ancora più entusiaste riguardo ad un tema su cui si potrebbe davvero discutere per ore.

Un ringraziamento anche a quanti collaborano con Psicologia dei Videogiochi per il lavoro che svolgono a livello scientifico e, in maniera appassionata, attraverso i social: potete seguire i loro aggiornamenti alla pagina Facebook ufficiale… e di nostro vi raccomandiamo di farlo, perchè le riflessioni su cui potrete inserirvi saranno interessantissime, sia che siate gamers esperti che giocatori (o osservatori!) alle prime armi.

Infine, qui potete trovare il sito di Horizon Psytech e gli aggiornamenti sui loro prossimi progetti.

A tutto lo staff il nostro augurio per quanto in programma… e a tutti voi, arrivederci alla prossima intervista!

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Agnese

Presidente, autrice. "The only way to be happy is to love. Unless you love, your life will flash by" The Tree of Life, 2011