Chiamatemi Anna è una serie che ha catturato tantissimi fan, che hanno fortemente protestato contro la sua cancellazione. Una riflessione sui motivi di tanta passione.
“Tu sei il mio più grande desiderio realizzato, che non sapevo nemmeno di avere”
È la dichiarazione che ad un certo punto della serie Marilla, madre adottiva di Anna, fa alla figlia, e che in un certo senso si adatta benissimo alla “rivelazione” che è stata Chiamatemi Anna, desiderio avverato e inaspettato.
La giovane orfana Anna “di Green Gables”, nata dalla penna di Lucy Maud Montgomery nel 1908, è protagonista di una saga composta da ben otto romanzi, a cui nel 2008 è seguito il prologo Sorridi piccola Anna, scritto da Bugde Wilson con l’autorizzazione degli eredi dell’autrice originale.
Per grande e piccolo schermo vengono realizzati moltissimi adattamenti a partire dagli anni Cinquanta, tra questi il più popolare è sicuramente la serie anime Anna dai capelli rossi prodotta dalla Nippon Animation e andata in onda per la prima volta in Giappone nel 1979 e in Italia su Rai 1 nell’ottobre 1980.
Chiamatemi Anna (in originale Anne with and E) è l’ultimo adattamento della popolare opera della Montgomery, serie canadese prodotta dalla CBC Television e Netflix, che la distribuisce anche in Italia. Dalla prima stagione, disponibile in streaming dal 2017, la sua popolarità è cresciuta esponenzialmente al punto che l’annuncio della sua cancellazione qualche mese fa, ha scatenato una vera e propria “rivolta popolare”. Capitanati da un inaspettato Ryan Reynolds (?!), i fan di Anna si sono scatenati con una petizione online che ad oggi ha superato il milione di firme.
Ma a cosa dobbiamo tutta questa popolarità? La storia di una ragazzina orfana allevata in campagna da una coppia di anziani fratelli a inizio del Novecento, può davvero scatenare tutto questo entusiasmo nel 2020?
Non nasconderò di essermi avvicinata alla serie con parecchia diffidenza, un po’ perché non appartiene “al mio genere” (errore madornale, da pivelli), un po’ perché temevo la china drammatica e preferivo dedicarmi a cose che consideravo “più allegre”. Tuttavia, dopo le numerose insistenze di alcune amiche, alla fine mi sono decisa e, inevitabilmente, sono rimasta incantata.
Chiamatemi Anna culla lo spettatore con il ritmo rilassante e disteso del luogo e del tempo che racconta. Un tempo scandito da semina e raccolto nella fattoria dei Cuthbert, famiglia adottiva di Anna composta dai fratelli Matthew e Marilla che, anziani, dopo aver chiesto in adozione un giovane orfano maschio per aiutarli nei campi, si ritrovano invece con una giovane ragazza chiacchierona e piena di immaginazione, che cambierà la loro vita per sempre.
L’infanzia di Anna non è stata delle più semplici, rimasta orfana di entrambi i genitori ad appena tre mesi, viene rimbalzata da una famiglia all’altra, in qualità di “aiuto domestico”, vivendo esperienze una più dolorosa e difficile dell’altra. Difficile anche il rapporto iniziale con Marilla Cuthbert, che quasi costretta inizialmente dal fratello a tenere in casa la ragazza, finisce per affezionarsi e diventare per lei una vera e propria madre.
Per Anna la vita a Green Gables e nella nuova cittadina di Avonlea, dove va a scuola, è un turbinio di emozioni, dal ritrovato amore di una famiglia, alle prime amicizie, al rapporto di affetto e rivalità che si instaura con Gilbert Blyght. Anna ha il sorriso sulle labbra e la voglia di rivalsa su un mondo che le ha sbattuto la porta in faccia troppe volte, solo perché orfana e considerata “bruttina” a causa dei suoi capelli rossi e delle molte lentiggini. Emana una leggerezza e un’armoniosità che la rendono, in parole poche, irresistibile.
Chiamatemi Anna affronta nella semplicità della sua storia questioni importanti e di attualità, tra cui il razzismo, l’omofobia e vari aspetti legati al tema dell’emancipazione femminile. Una delle puntate più interessanti vede Anna ergersi, indignata, in difesa di una compagna di classe “disonorata” da un bacio rubato. Il fidanzamento “riparatore” pendente sulla sua testa e su quella di tutte le donne che accidentalmente si trovano coinvolte in atti di abuso da parte di uomini, condurrà la giovane protagonista a scrivere un infuocato articolo sul giornale della scuola dal titolo “What is Fair?” (Cosa è giusto?) che scatenerà non poche discussioni nella piccola cittadina di Avonlea.
Alla luce di questo, non stupisce il grande successo della serie, soprattutto tra quelle fasce della popolazione sensibili a questo genere di argomenti, tra i quali sicuramente spicca la comunità dei fan. In Chiamatemi Anna possono ritrovare molti dei temi a loro cari, trattati con una diretta semplicità, alla quale non siamo forse più abituati e della quale, inconsciamente, sentiamo la mancanza.
Una serie che ha meritatamente ritagliato il suo spazio nel cuore di migliaia di fan in tutto il mondo, che ci auguriamo possano ricevere una bella notizia, anche se sappiamo già da eventi del passato (vedi il caso Sense 8) che è molto difficile far tornare Netflix sui propri passi. Se c’è una cosa però che Anna ci ha insegnato è che non dobbiamo mai perdere la speranza e il desiderio di sognare.