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Ringraziamo la nostra amica St. Mary, grande fan di Cabin Pressure, per aver condiviso con noi attraverso questo articolo, la sua esperienza all’interno del fandom e come lo show abbia cambiato la sua vita. 

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Il cast di Cabin Pressure in un’immagine promozionale.

 

13 Febbraio 2014

In una scuola al centro di Londra, la lezione sul past perfect viene bruscamente interrotta dall’urletto isterico di una gallina che ha appena sparato fuori un cartone da dodici di uova biologiche – nella fattispecie, quella gallina sarei io.

La notizia impazza su Twitter: sta per essere registrata l’ultima puntata della serie “Cabin Pressure”, e la BBC sceglierà i membri del pubblico tramite una lotteria online. Basta registrarsi al sito della BBC Radio, ed incrociare tutto l’incrociabile, sperando in bene.

Penso tra me e me: perché no?

Insomma, sono a Londra, ho Benedict Cumberbatch praticamente a un tiro di schioppo – la mia gallina interiore sforna pacchi da dodici ogni volta che ci penso – perché non provare? Il peggio che può capitare è che il mio nome non venga sorteggiato, ma al massimo mi andrò a buttare dal London Eye, che vuoi che sia?

Pronta, immetto i miei dati, e aspetto che ci sia il sorteggio.

Qualche giorno dopo, arriva la risposta dalla rete: il mio nome non è nella lista dei partecipanti.

Non mi butto dal London Eye solo perché, di lì a poco, accade.

Il fandom esplode.

Poster promozionale della quarta stagione.

“Zurich”, l’ultima puntata di una serie durata sei anni, con al suo attivo 25 puntate e vincitrice del premio “Best Radio Comedy” della Writer’s Guild of Great Britain nel 2011 – più altre nomination di egual valore – ha registrato un numero stratosferico di richieste per entrare a far parte del pubblico.

22.254.

È il più alto numero nella storia della BBC Radio.

 

 

 

 

Io amo i fan. Davvero, li amo. Ma ci sono volte in cui vorrei tanto stringere le mani attorno al collo metaforico del fandom e stringere, stringere, stringere finché gli occhi non gli schizzano fuori dalle orbite.

Questa è una di quelle volte.

I fan di Cabin Pressure, di solito così gentili, miti e divertenti, si trasformano di colpo una Chimera isterica assetata di sangue.

La polemica impazza, e il messaggio di fondo è sempre lo stesso:

“Maledette quelle bimbeminkia delle Cumberbitches! A loro non frega niente del programma, vogliono solo andare a vedere il loro idolo! È colpa loro se i NOI VERI FAN – attenzione, capslock – non possiamo entrare a vedere la registrazione! Brutte str****! Lasciate in pace Cabin Pressure!”

Ed è qui, cari lettori, che non mi butto dal London Eye.

Perché quando di colpo un Fan mi diventa un Fanazista, allora devo scrocchiarmi le dita – classificate come armi letali – e mettere un po’ di sale in zucca a quelle povere, tristi animucce che credono ancora che il “Razzismo da Fandom” sia una sacra prerogativa di chi, per età anagrafica o per botta di culo, lì ci è arrivato prima, e logicamente ne consegue che è migliore di tutti gli altri. Così. Per anzianità.

E il miglior modo per farlo è essere onesta.

Sì, sono una Cumberbitch – anche se odio il termine. E sì, sono arrivata a Cabin Pressure grazie a Benedict Cumberbatch, la cui voce è testimonianza del fatto che un giorno Dio, essendosi, comprensibilmente, rotto le balle dei Cori Celesti – sempre la stessa hit da migliaia di anni – ha messo cotante corde vocali in cotanto uomo col solo e unico scopo di trollare gli angeli.

Datemi Benedict Cumberbatch in qualunque ruolo e vi amerò per sempre. Datemi la voce di Benedict Cumberbatch e sarò perdutamente vostra. Datemi Benedict Cumberbatch in un ruolo esclusivamente parlato e vi venderò l’anima dei miei discendenti fino alla settima generazione. Aggiungeteci il fatto che nel cast c’è pure quell’uomo epico di Roger Allam – il DILF spettacolare in “Tamara Drewe” – e di generazioni ce ne aggiungo altre quattordici.

Ma poi, è successo dell’altro.

Prima ho cominciato a ridere.

Ma tanto, eh? Come non mi succedeva da anni. Ridere a crepapelle, di cuore e senza vergogna. Per strada, con le cuffie nelle orecchie, sbottavo in risate talmente sguaiate che le vecchie si facevano il segno della croce, e il vuccumprà che vende i calzettoni di lana anche ad agosto si domandava se avesse fatto bene ad emigrare in Italia.

Una cosa preoccupante. I miei amici mi avevano bandito da tutti i passaggi in macchina – insistevo costantemente per mettere su il cd con le prime tre stagioni – e mia sorella era dovuta venire a recuperarmi quella volta che, dopo aver ascoltato per la milionesima volta “Ottery St. Mary” ero caduta dal letto in un attacco di latrati isterici – giuro, quella puntata è qualcosa di spettacolare.

Arthur (John Finnemore)

John Finnemore è un genio: divertente, originale e arguto come pochi. Capace di una comicità semplice ma per questo ancora più apprezzabile, non gli serve sfoderare volgarità per strappare una risata.

Ma ciò che di unico ha questo programma – ciò che me lo ha fatto amare, ciò che mi ha fatto restare – si trova nella sesta puntata della quarta stagione: “Yverdon-les-Bains.”

Un giovane pilota d’aereo sta facendo un colloquio per entrare a far parte di una famosa linea aerea svizzera. È un disastro. Lui è troppo poco qualificato – ha ridato sette volte l’esame per la licenza di pilota, e ancora adesso non tutto questo granché – e durante il colloquio è troppo nervoso, s’impappina di continuo. E poi, con quell’espressione da cane bastonato, il fisico gracilino e quello sguardo incerto, non ha per niente l’aria del capitano.

Tutto sembra volgere al peggio, quando d’un tratto il piccolo pilota si rianima.

E dice:

“Sono bravo abbastanza. Come dice la simulazione, sono adeguato – adeguato al ruolo. Ma io… non mi riesce facile. Non è una seconda natura. In una scala da uno a dieci, dove uno è il minimo assoluto di competenza, io sono… circa un quattro. Ed ero un uno – no… (ride amaramente) …Ero uno zero, e poi ripreso la mia C.P.L. [Commercial Pilot License, Licenza di Pilota Commerciale, n.d.t.] ancora… e poi ancora…e allora sono diventato un uno, e poi un due, e poi un tre, e adesso sono un quattro. E non ho ancora finito. Ed è per questo che dovreste assumermi. È per questo che sareste fortunati ad assumermi, perché se non ci sai fare di natura – se non ti basta semplicemente  sapere come fare come fa Doug…c-come fa certa gente, allora devi…beh, sei praticamente obbligato ad essere un perfezionista – e io lo sono. Ed è per questo che anche se mi rifiuterete, continuerò a fare domanda – perché volare è il lavoro perfetto, e non mi accontenterò di una vita in cui non riuscirò a farlo.

 

(Potete trovare la trascrizione del testo originale a questo link)

In questa frase, a mio avviso, è racchiusa la più grande qualità, il dono più prezioso che questo show può dare ai suoi ascoltatori.

La determinazione.

Martin Crieff non si arrende. È un quattro, e lo sa, ma non ha bisogno di essere un dieci, o un undici. Lui conosce i suoi limiti, vuole superarli, e non importa quanto ci vorrà, lui non si arrenderà mai. Continuerà a provarci, con tutto sé stesso, perché è QUESTO che vuole fare, ciò per cui è stato messo al mondo – lui ne è certo. E non importa quante volte cadrà, quante volte avrà una crisi di pianto davanti ad un passeggero scorbutico, non importa quanti altri curricula dovrà mandare o quanto tempo ci vorrà.

Lui diventerà un pilota di linea. Sarà un capitano. Il Capitano. Uno con cui si possa essere fieri di volare.

“Cabin Pressure” è molto più di uno show comico: è un’opera completa, un inno alla straordinarietà dell’uomo comune, della forza insita in ciascuno di noi. Con volontà e determinazione, possiamo fare qualunque cosa. E non abbiamo bisogno di essere i migliori, per realizzare i nostri sogni. Basta essere noi stessi, e continuare a provare, nonostante i nostri difetti, le nostre angosce, le nostre insicurezze. Anzi, proprio grazie ad esse, perché le sopportiamo giorno dopo giorno sulla nostra pelle, eppure siamo talmente forti da non soccombere sotto il loro peso.

Martin (Benedict Cumberbatch)

Martin Crieff, pilota mezza tacca e nevrotico, non mollerà mai. Douglas Richardson, che nonostante la sua sfacciata sicurezza e i toni suadenti – sostiene di aver corteggiato almeno un migliaio di hostess– si ritrova a fare i conti con una carriera alla fine, tre matrimoni falliti e a dover stare agli ordini di Martin, molto più giovane ed inesperto di lui. Però non lascerà che l’amarezza abbatta il suo spirito, anzi, continuerà a comportarsi come l’onnopotente “Sky God” che è. Arthur Shappey, ventinovenne che vive ancora in casa con mamma Carolyn, steward con più cuore che sale in zucca, non cesserà mai di sorridere, d’inventarsi piatti ridicoli, di aiutare più che può, anche se nessuno vuole il suo aiuto, anzi. Carolyn Knapp-Shappey, tenace e agguerritissima proprietaria della MJN Air e dello scassatissimo jet G-ERTI, si rifiuterà di cedere ad età, sessismo, e, soprattutto, al passeggero medio, che come sappiamo bene tutti è la feccia dell’umanità.

Nessuno può fermare questa piccola linea charter, questo microcosmo unico d’ilarità e tenacia.

Il messaggio è: non fermarti mai. Ridi. Sii felice. Vivi. Trova la tua destinazione e lotta per raggiungerla.

John Finnemore mi ha insegnato tutto questo. O meglio, mi ha ricordato la gioia di vivere secondo questi principi. “Cabin Pressure” mi ha fatto sorridere, e mi ha dato una ragione per continuare a farlo.

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Così, se quest’estate non sapete cosa fare, ascoltatevi “Cabin Pressure”. E se vi capita venite alla convention, il 23 e il 24 agosto.

 

Ma, soprattutto, volate.

 

P.s.: durante la crisi post ultima puntata, in molti andarono sul Twitter dell’attore Tom Goodman-Hill – il tizio in bombetta che va a recuperare Sean Connery in “La Leggenda degli Uomini Straordinari” – che aveva sostituito Cumberbatch in “Newcastle”, quando si era ammalato. Tutti, nessuno escluso, espressero il loro apprezzamento e la loro stima per lo straordinario lavoro da lui svolto.

Alla fine dei conti, l’attore è il tramite attraverso cui la storia fluisce. Non nego che ci voglia un attore dannatamente bravo per certi ruoli, ma, quando il testo è così speciale, non ci vuole un Benedict Cumberbatch per renderlo tale.

 

di St. Mary (Opera lirica e Britannia Imperat: that’s me!) 

 

 


Agnese

Presidente, autrice. "The only way to be happy is to love. Unless you love, your life will flash by" The Tree of Life, 2011