In attesa della tappa italiana dell’Eminem Revival Tour, Stefano ci racconta la sua scoperta del cantante e come il suo esserne fan abbia profondamente influenzato la sua vita personale.
Ormai più di tre mesi fa vi avevamo anticipato in questo articolo la volontà di iniziare a parlare dei sogni che noi fan coviamo nel cuore e di che cosa vuol dire per ognuno di noi riuscire a realizzarli.
L’idea nasceva originariamente con l’intento di condividere l’entusiasmo che il vivere certe esperienze può dare ad una persona, ma con il tempo si è trasformata in qualcosa di più e questo principalmente dopo aver iniziato a parlare proprio con voi fan. Nel cercare di raccontare la felicità provata di fronte alla possibilità di realizzare, finalmente, quello che aspettiamo da una vita (andare a quello spettacolo teatrale, incontrare da vicino quella celebrità, partecipare a quella convention, ecc. ecc.) ci siamo ritrovati inevitabilmente a discutere del perchè certi fandom sono diventati così rilevanti nella nostra vita e a scoprire cose straordinarie.
Chi infatti ancora crede che il nostro interesse sia una questione prettamente estetica (ti piace quell’attore lì perchè è bbbono) o infantile ha un duplice problema: conosce davvero poco ciò che implica a livello culturale e relazionale l’essere fan (si veda in merito l’impatto del film Black Panther a livello sociale) e soprattutto non ha davvero la minima idea della complessità che si cela nell’animo umano in generale.
Eminem Revival Tour visto dagli occhi di un fan
Un paio di mesi fa, seduta al bar davanti ad un’amica, ho avuto la fortuna di scoprire che il suo ragazzo Stefano sarebbe stato la cavia ideale per questo nostro progetto sui fan. Appassionato di Eminem fin da adolescente, alla notizia che il cantante sarebbe venuto in Italia per la prima volta, aveva smobilitato amici e ragazza e con fatica recuperato i tanto agognati biglietti per il concerto a cui prenderà parte tra pochi giorni.
Conoscevo già Stefano per l’inconfessabile amore per Malick che condividiamo e che molti da anni ci supplicano di abbandonare. Nonostante gli impegni legati a Còlere, l’entusiasmante start-up che ha aperto (e che sembra nata apposta per portare gioia a chi della cultura ha fatto la propria vita), si è dimostrato subito entusiasta all’idea di raccontarci questa sua passione musicale.
Fra i bar e le strade di Treviso, inseguiti da api e attaccati da anatre malvagie (esistono prove audio della scena, per chi non volesse crederci), abbiamo discusso a lungo del rapporto che lo lega a questo cantante, scoprendo entrambi che quando ti appassioni a qualcosa non è solo per le caratteristiche di quella cosa ma è anche – e forse soprattutto – per ciò che quella cosa dice a te e per come ti aiuta a scoprire chi sei.
Per una questione di spazio, ma soprattutto per rispetto nei confronti di alcune situazioni che Stefano ha raccontato ma che sono sue e delle quali ritengo corretto rispettare l’intimità, vi riproporrò solo parti della sua intervista, suddividendola per punti. Voglio però ringraziarlo a nome mio e di tutta fanheart3 per non aver avuto paura di mettersi in gioco completamente. Sorrido ripensando a quante volte si è scusato per aver parlato troppo di sè: in realtà – e lo dico con afflato un po’ poetico, ma credendoci profondamente – la mia percezione personale nell’ascoltarlo è stata quella di star ricevendo in dono qualcosa di bellissimo, una parte della sua vita che è stato un onore poter conoscere e condividere.
Se posso azzardare un’opinione molto personale, se tutti ci parlassimo un po’ più così, con il cuore in mano, e meno paura dell’altro, non rimarrebbe molto spazio, là fuori, per i giudizi e tanto meno per l’odio reciproco.
L’incontro con Eminem
Parto dalla fine: ero appena uscito da un appuntamento. Salgo in macchina, entro in Facebook ed una delle prime notizie in cui mi imbatto è che Eminem finalmente arriva in Italia. Una cosa che mi capita quando mi arriva una notizia su cui ho molte aspettative è di sentire una sorta di calore dentro, come se il corpo si attivasse tutto… ed in quel momento provo esattamente quella sensazione lì. Nei giorni precedenti c’era chi aveva già mandato in giro la notizia, ma quasi come se si trattasse di uno scherzo. Quelli di Radio DeeJay [quando aveva iniziato a girare la voce] avevano proposto a tutti di scrivere sull’ultima foto che Eminem aveva postato in Instagram la frase “Ciao zio, si va in Italia?” (nda: qui il racconto dell’iniziativa e della risposta data dai fan) e anche io l’avevo fatto. Se tutti insistevano sul fatto che venisse, dicevano, lui sarebbe venuto, un po’ come era successo per Dave Grohl dei Foo Fighters (qui e qui).
Quindi apro FB e… notizia.
Un sogno che si avvera, perchè Eminem è una delle mie più grandi passioni da quando avevo circa 11-12 anni, quando me lo fece ascoltare per la prima volta mia cugina. Lei non continuò a seguirlo, ma a me la passione rimase.
Ricordo che la prima volta che lo ascoltai, ero in macchina con i miei genitori e l’album era The Eminem Show. E ricordo che dopo la traccia iniziale, la prima canzone vera e propria era White America, dove lui urla all’inizio “Americaaaa”… e il modo in cui urla sembra che apra effettivamente il disco, con questa voce molto evocativa, in una sorta di inno alla ribellione nei confronti degli Stati Uniti. E infatti nel disco ci sono forti critiche alla politica americana. Da lì, oltre ad aprire il disco, Eminem per me ha aperto proprio il mondo, un atteggiamento alla vita. Mio papà mi disse, “Oh signore, adesso ascolti questa roba?”. Era hip hop, non esattamente la moda musicale dell’epoca. Però c’era qualcosa… non tanto i testi, ma l’atteggiamento, l’incisività. C’era qualcosa in quel modo di esprimersi che mi chiamava, come se in Eminem sentissi me stesso, come se Eminem stesse dicendo quello che avrei voluto dire io… e lo stava dicendo ad una platea sterminata di persone.
Eminem e l’uso della parola
Poi sono andato a scoprire i testi e ancora non conoscevo l’inglese. Non avevo neanche internet all’epoca e quindi andavo all’Informa Giovani e mi collegavo da lì per cercare le traduzioni. Però in realtà la traduzione più bella era quella che facevo io. Testo da una parte, vocabolario dall’altra, e certe cose nemmeno mi tornavano, perché parlava in slang.
[I testi] hanno cominciato a potenziare ancora di più quello spirito che Eminem mi trasmetteva. Tu ti chiederai, “Ma che cosa ti avrà mai detto di così profondo?”. Ed è vero, non erano profonde le cose che mi diceva, non nel senso che intendiamo, ma mi parlavano esattamente nel modo in cui volevo che qualcuno mi parlasse all’epoca. Per dire, è capitato prima, venendo qui, di sentire per radio una sua canzone di quel periodo, The Real Slim Shady. In una strofa di quella canzone Eminem dice che ogni persona è uno slim shady in potenza che lavora da Burger King, odia i clienti che incontra e sputa sui loro anelli di cipolla. Poi esce, prende l’auto, fa più volte il giro del parcheggio con il dito medio fuori… e non gliene frega un cazzo. Prendi quest’immagine: certo, non ti dice niente di comunemente profondo, però immagina cosa dice ad un 13enne che scopre la ribellione.
Eminem mi ha parlato nel momento giusto e nel modo giusto. E mi ha un po’ ingannato prendendomi con l’amo dell’incastro delle parole. Ha proprio questa abilità, e tu che non capisci niente di inglese stai lì ad ascoltarlo e a seguire questo continuo incastro. Una cosa potentissima. Da una parte ti permette di registrare l’attenzione anche di chi non conosce la lingua, che si diverte ad ascoltare parole musicali; dall’altra, per chi ti capisce, ti permette di dire in maniera molto precisa qualcosa e se sei Eminem riuscirai anche a metterci dentro dei concetti molto potenti.
Quasi una doppia dimensione, quindi: uno strato fatto di situazioni che lui descrive in maniera molto allegorica ed esagerata; sotto, un messaggio che non è necessariamente un messaggio profondo, perché non è di quella profondità a cui siamo abituati, ma che è di quella profondità che ti arriva come una siringa. Hai presente la scena di Pulp Fiction dove gli sparano l’adrenalina dritta al cuore? Eminem è esattamente così. Ti dà vita.
Per me è stato così, una siringa di adrenalina dritta al cuore, che mi ha svegliato.
Eminem e le critiche
[Eminem ha ricevuto numerose] critiche alla volgarità dei suoi testi, che attaccavano in maniera dura anche determinate categorie sociali che se fossero attaccate oggi sarebbe ancora più scandaloso. All’epoca associazioni di omosessuali si presentavano all’ingresso dei suoi concerti per protestare perché Eminem non suonasse. Nelle due settimane che hanno preceduto l’arrivo di Eminem in Italia per la prima volta, a Sanremo, associazioni di difesa degli omosessuali hanno cercato in tutti i modi di impedirne la partecipazione, scrivendo lettere al direttore Rai per chiedere di non farlo esibire.
Eminem stesso [risponde a queste critiche] quando in Sing for the moment dice “These ideas are nightmares for white parents”, che vivono nella loro casa avendo un figlio che si tinge i capelli e porta gli orecchini. Lui, andando a prendersela con gli omosessuali, in realtà non aveva come scopo il prendersela con loro ma quello di provocare quei genitori che pensavano di avere una situazione normale a casa; ed era questa idea di normalità che Eminem cercava di criticare, mostrando l’ipocrisia che c’era nella famiglia media americana. Fra parentesi, io sono stato acculturato profondamente all’idea di normalità e ho sempre cercato di scappare, soprattutto da quando Eminem mi ha detto di scappare urlando “America”.
Eminem, poi, è stato meno misogino di altri. Ci sono molti rapper americani che c’entrano i loro temi sull’offesa delle donne. Eminem ha completamente sovvertito questo orientamento verso i testi ed è stato misogino nei confronti di una donna in particolare. In un brano che si chiama Kill You, il “you” è la madre. Se leggi la traduzione e arrivi alla fine sei brava; è veramente pesante il modo in cui l’appella. Però lì viene fuori un altro aspetto di Eminem che a me era piaciuto molto: il suo interpretare la musica come una cosa estremamente personale. In questo va a sovvertire il modo comune di fare hip hop, con rapper che parlavano solo di donne e soldi. Lui di tutto questo prende ciò che più lo tocca personalmente e se offende le donne, offende sua madre che nella sua esperienza è stata una pessima figura.
Eminem e la ricerca di se stessi
Inizialmente era il modo in cui Eminem diceva le cose, poi le traduzioni dozzinali che ho fatto io. Poi è arrivato pesantemente il libro di Damir Ivic, una raccolta di testi tradotti che però non è una traduzione pedissequa, ma critica, quasi una parafrasi (nda: Fuck it, let’s all stand up, acquistabile su Amazon). E lì è come se avessi chiuso il cerchio e avessi messo la firma sul mio amore per Eminem.
Quel libro è andato a confermare cose che avevo immaginato su Eminem, che un po’ sentivo, e davvero Eminem stava dicendo quello che non riuscivo a dire.
Ma perché non riuscivo a dirlo? E qui entro in campo più io di Eminem. Gli anni della mia adolescenza sono stati anni meravigliosi, pur pieni di difficoltà. Fortunatamente ho avuto genitori che non hanno avuto guai e che non mi hanno dato molti guai, ma ho avuto guai con i coetanei, perché ero lo zimbello della scuola che però vuole provare ad essere un po’ come il leader e quindi ero tenuto lontano. La mia risposta a quel tentativo di allontanamento ad un certo punto è stata di presentarmi a scuola con una maglia che rappresentava Eminem, il cappellino di Eminem e una fascetta appesa ai pantaloni con scritto Eminem.
Da quel momento alle scuole medie del mio paese sono diventato Eminem. Ho passato tre anni a non essere chiamato Stefano ma ad essere chiamato Eminem. Loro lo facevano per prendermi in giro e a me invece piaceva moltissimo. Ero andato a scuola con quell’intento: non volete riconoscermi, non volete includermi minimamente nel gruppo? Allora vi darò un messaggio talmente pesante, talmente appariscente che non potrete non notarmi, in particolare in una scuola dove tutti o erano i cosiddetti punkettoni o erano dei “truzzi”.
In generale quegli anni sono stati anni in cui ho preso tutto quello che arrivava; forse è per questo che mi piace una youtuber che va molto fra gli adolescenti, Sofia Viscardi, che ha intitolato il suo romanzo Succede: nell’adolescenza le cose succedono e basta. Non le razionalizzi, non ci trovi un significato profondo. E proprio perché succedono, io le accoglievo e me le godevo fino in fondo.
Quindi sì, una ribellione ma una ribellione non scontrosa: non aggressiva verso la situazione familiare da cui arrivavo o verso i coetanei, quanto piuttosto un tentativo di costruire una strada mia.
Eminem e il cambiamento
Andando avanti con gli anni la passione per Eminem si è affievolita. E’ arrivato il periodo delle discoteche, in cui facevo il pierre e ascoltavo la musica da discoteca, annullando tutti gli ascolti precedenti. Mi viene da pensare che sia andata così perché Eminem mi diceva molto quando io ero in una fase della vita in cui avevo bisogno di sentirmi dire certe cose. Poi è arrivata una fase della vita in cui volevo qualcosa di diverso; volevo sentirmi incluso in uno stile di vita, una musica, una subcultura.
Anche Eminem in realtà, comunque, aveva rotto a sua volta una sorta di inclinazione precedente che avevo e che era rivolta alla lettura. Quando ho iniziato ad ascoltare Eminem ho iniziato a leggere meno, perché passavo più tempo a tradurre che a leggere. Quindi anche Eminem ha interrotto qualcosa; poi è arrivata la musica tecno e da discoteca che ha interrotto Eminem.
E poi c’è stata la bocciatura in quinta superiore che credo sia stata una delle cose più belle che mi siano capitate. Ha bloccato un percorso che se Eminem aveva aperto in maniera gloriosa si stava invece concludendo in maniera penosa. Le musiche tecno e da discoteca erano l’inizio di un’omologazione, di un tentativo di essere come gli altri. La bocciatura ha detto “basta”, ha detto “tu non sei quella roba lì” e da lì è cominciata un’altra vita in cui poi, guarda caso, è ritornato Eminem.
In quel periodo Eminem cominciava a pubblicare i primi dischi che stavano andando maluccio dal punto di vista commerciale. Ce n’è uno che secondo me è molto bello e un po’ sottovalutato che è Relapse, ma poi ce ne sono altri, come Recovery, che invece sono… brutti. Eminem è passato da “this person is a slim shady” a strofa – ritornello cantato da Rihanna – strofa – ritornello di Rihanna – fine. L’ultimo disco di Eminem non lo sento proprio mio. Continua a incentrare le sue canzoni sulla parola, ma non più nel modo in cui la dice, ma proprio nelle cose che. E’ come se avesse un’urgenza comunicativa che porta a canzoni da sei, sette minuti in cui lui continua a rappare e per un fan italiano una cosa del genere non significa quasi niente. Alterna queste canzoni molto particolari e molto noiose a canzoni molto commerciali: di recente ne è uscita una con Ed Sheeran.
Di recente è uscita una canzone che si chiama Walk on Water, cantata con Beyoncé. In quella canzone lui parla di come è cambiata la sua carriera e di come lui se la viva male dal punto di vista del rapporto con i fan dal momento in cui [è andato in overdose da psicofarmaci].
Dice di sentire ancora quella pressione che i fan gli danno per cui vuole fare sempre le cose al meglio… però non ci riesce più. Ed è terribile. Non riesce più a dire le cose come una volta. Eppure ci sono persone come me che stanno ancora sperando non che ritorni quell’Eminem, ma che quella parte di Eminem abbia la forza di tirarsi fuori. Perché senti che Eminem vorrebbe ancora parlare in quel modo lì, e avrebbe ancora da dire, magari nello stile di Relapse, ma non ce la fa più.
Forse Eminem e noi fan non ci siamo ancora arresi al fatto che quella fase della vita è passata. Dovremmo proprio tagliare il cordone ombelicale che ci lega a quel momento della nostra vita e provare a dire qualcosa di nuovo senza pensare più al passato.
Eminem e l’Italia
Parentesi su Sanremo (nda: unica esperienza di Eminem in Italia finora): Eminem aveva cantato due canzoni con il suo gruppo, i D12, di cui una si intitolava Purple Pills (sostanze stupefacenti). Quando l’ha portata a Sanremo ha dovuto cambiare il testo, intitolandola Purple Hills e parlando di strani funghi commestibili che aveva mangiato e che gli avevano dato come effetto collaterale il vedere le montagne viola. Ha dovuto ripulire insomma il testo della canzone – e penso che anche questo gli abbia dato fastidio. Era il 2001 ed Eminem era il personaggio di punta e quindi Sanremo lo voleva, però musicalmente erano davvero due mondi diversi… Un’altra particolarità è che nel gruppo di Eminem c’era uno che era abituato ad andarsene in giro con la cuffietta da doccia in testa. Immàginatelo: questo tizio di dimensioni mastodontiche che si presenta sul palco dell’Ariston vestito in bianco, perchè erano tutti in bianco, davanti ad un pubblico tutto impettito… ma con cuffietta in testa.
Ora arriva in Italia con il primo vero concerto. Un concerto che per me è rappresentativo di tutte queste cose: dell’Eminem del passato, dell’Eminem di oggi che forse non sa più parlare come nel passato e che forse non può più farlo. Di un tentativo di avvicinarmi ad Eminem come mai mi sono avvicinato. E’ proprio la rappresentazione di ciò che è stato Eminem per me nel corso della mia vita. E poi è anche la realizzazione di un sogno, di tutte quelle volte in cui ho pensato “Ma ti immagini se questa canzone la sentissi dal vivo?”.
Stefano e Laura mi raccontano poi di come sono riusciti a conquistare per lui il tanto ambito biglietto del concerto: tre persone, piazzate in tre punti diversi della provincia di Treviso da cui connettersi a Ticketone, molteplici account sulle due piattaforme che avrebbero messo online i biglietti, costante contatto in telefonata a tre con vivavoce… L’entusiasmante piano di attacco garantisce la vittoria: biglietto acquistato e non un biglietto qualunque, ma un biglietto vip che assicura di stare con altre poche centinaia di persone davanti al palco, avere un bagno a parte, la targhetta del concerto, il cocktail e l’ingresso prioritario.
Ho già minacciato Stefano di tornare da lui dopo l’evento, che si svolgerà sabato 7 luglio presso l’Area EXPO di Experience Milano, per sapere cosa si prova come fan ad assistere a qualcosa che si è aspettata una vita intera di vedere.
Voglio però ora lasciarvi con l’ultima domanda e l’ultima risposta di quella giornata, che riassumono bene, io credo, quello che in tanti vorremmo dire a quella persona celebre che in qualche modo, con le cose che ha creato, che ci ha trasmesso, che ha rappresentato, è riuscita a segnare la nostra vita.
Se tu avessi l’opportunità di dire una sola cosa a Eminem?
Grazie. E cercherò di dirglielo al concerto. E’ quello che a me ha dato Eminem: mi ha fatto dei favori e quando una persona ti fa dei favori non puoi fare altro che dirle “Grazie”.
E noi di fanheart vogliamo ringraziare Stefano per l’entusiasmo che è riuscito a trasmetterci e ancora una volta per la generosità con cui si aperto alla nostra proposta. Ringraziamo anche Laura, senza cui tutto questo non sarebbe stato realizzabile (e che ha letteralmente rischiato la vita con noi per portare a termine questa intervista… quack!)… e con l’occasione ringraziamo pure lo staff di LABB. Caffettin per averci ospitato ben oltre l’orario di chiusura.
Arrivederci a dopo il concerto e un in bocca al lupo a tutti quelli che vi prenderanno parte!