Purtroppo, in questo inizio di 2016, diversi fan in tutto il mondo sono stati sopraffatti da perdite improvvise, che come un macigno si sono abbattute sui nostri cuori. Ognuno ha risposto diversamente alla sensazione di vuoto che si è creata: c’è chi ha continuato ad ascoltare ininterrottamente le canzoni di David Bowie, chi ha fatto una maratona di tutti i film di Alan Rickman, e chi ancora ha postato sui social un semplice “grazie” per un particolare personaggio o una determinata canzone che lo hanno accompagnato durante un momento specifico della vita. E ognuna di queste persone, senza distinzioni, ha diritto di essere triste: per un giorno, un mese o una vita. Dico questo perché ogni qualvolta il mondo è colpito da una notizia tragica (in generale, ma nel caso specifico la perdita di una persona famosa) si svegliano, come dormienti tentacoli di Tranello del Diavolo, tutte quelle persone che da questi fatti non sono per nulla colpite. E iniziano a commentare: si spazia da “che rottura di scatole la mia bacheca è invasa da foto di quel tale” ad “andate a quel paese, voi non siete veri fan, non avete il diritto e bla, bla, bla”. In tutto questo quindi, mi è sorta una domanda: ma davvero qualcuno può quantificare il mio dolore? Davvero qualcuno può dirmi se e quanto posso permettermi di soffrire, a seconda che io sia uomo o donna, giovane o vecchio, potterhead o amante di Jane Austin? Ci ho rimuginato un po’ su, e per me la risposta è una sola: NO! Il mio dolore non vale meno perché non conoscevo fisicamente la persona che ci ha lasciati. Non vale meno perché non ho visto tutti i suoi film. Non vale meno perché non conosco a memoria le sua canzoni. Non vale meno perché sono giovane e non capisco che ci sono cose più importanti. Se voglio piangere perché ho appena perso qualcuno che ha camminato con me anche solo nella mia testa, posso farlo senza sentirmi in colpa. Se provo emozioni per un personaggio nato dalla penna di qualche scrittore, non sono fuori di testa. Semplicemente io penso che noi fan, così come tutti gli esseri umani, amiamo la compagnia, e quando quella delle persone fisicamente accanto a noi non basta o addirittura ci delude, ci rifugiamo in un mondo migliore, dove sappiamo che nessuno ci negherà un abbraccio o una spalla su cui piangere.

Poi purtroppo succede che la vita vera entra prepotentemente nel nostro mondo fatato e ci porta via quella persona che per noi era diventata un punto di riferimento. E allora soffriamo. E sfoghiamo quel dolore dove sappiamo che troveremo conforto, oppure ci chiudiamo in noi stessi per un po’ di tempo. E non c’è nulla di sbagliato. Quindi vorrei dire ai fan che in questo momento stanno soffrendo, che non siete soli: come dice Silente nell’immagine sottostante, “il dolore che sentiamo tutti per questa terribile perdita, ricorda a me e a tutti noi, che anche se veniamo da posti diversi e parliamo lingue diverse, i nostri cuori battono come un unico cuore”. I fandom sono tanti e diversi, così come le persone, ma c’è differenza tra ostinarsi a non capire cosa prova chi abbiamo davanti, e cercare di comprendere che nessun sentimento ha meno valore, solo perché tu non lo stai provando.

Concludo con le parole che Evanna Lynch ha scritto su Facebook, in memoria di Alan Rickman: “Please honour his memory and what he gave us by talking about and sharing stories and continuing to celebrate his legacy so then he will be here, as we like to say, ‘Always’” “Per favore onorate la sua memoria e quanto ci ha dato parlandone e condividendo storie e continuando a celebrare il suo lascito, cosicché lui sarà qui, come diciamo noi, -per sempre”

 

Ilaria Regnante

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