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Ci sono due leggi che sono note universalmente nel fandom delle serie scritte da Steven Moffat: la prima è praticamente un dogma, ripetuto come un mantra: Moffat trolla. La seconda legge è nascosta, si può solo pensare o pronunciare a bassissima voce, perché romperebbe l’illusione dello showrunner crudele e senza scrupoli che tutti abbiamo cucito addosso a quest’uomo. Ovvero: Steven Moffat ha un cuore di burro.

Chi ha visto lo speciale andato in onda il 24 dicembre sulla BBC potrebbe iniziare un articolo dicendo che forse davvero Moffat è prossimo al congedo da Doctor Who: tante volte ha ripetuto che era il momento di passare il testimone a qualcun altro come lui l’aveva ricevuto da Russell T Davies nell’ormai lontano 2010, ma dopo l’episodio il sospetto si fa quasi certezza (non dimentichiamo però neanche per un istante la regola numero uno: Moffat trolla). Moffat sembra aver chiuso finalmente il suo cerchio narrativo e per farlo ha scelto il personaggio che più di tutti ha caratterizzato il suo passaggio in questa serie da showrunner: non gli angeli piangenti, non i silenti, non i companion “ufficiali”, ma River Song. La moglie del Dottore, la donna che non gli ha mai dato la soddisfazione di “aspettarlo” come mamma Amy, la ragazza ancora-più-impossibile di Clara. L’archeologa che viaggia in maniera del tutto autonoma e si imbatte nel “marito” saltuariamente e in modo cronologicamente parecchio disordinato (roba che La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo ha un’esperienza da dilettante in confronto a River).

Con lo speciale di Natale The husbands of River Song, Moffat fa un regalo al fandom offrendo una volta per tutte l’ultimo tassello della storia di River (ma chissà? Moffat trolla…). Un momento a cui già aveva fatto riferimento nell’occasione della primissima apparizione di River Song, ormai più di cinque anni fa: l’ultimo appuntamento “galante” tra lei e il Dottore nel ristorante di fronte alle torri che cantano, sul pianeta Darillium; tale tassello ci permette finalmente di completare la mappa parecchio ingarbugliata dei loro incontri.

La faccenda è nota ai fan: la prima volta che il Dottore incontra River, per lei è l’ultima (più o meno: Moffat trolla, e così abbiamo avuto uno struggentissimo bacio tra il Dottore e il fantasma di River alla fine della settima stagione, posteriore all’evento della sua “morte”). Il primo bacio che l’Undicesimo Dottore riceve da River è l’ultimo che lei dà all’Undicesimo Dottore. In un episodio egli assiste alla sua nascita come figlia dei suoi migliori amici, nel successivo la vede rigenerarsi come una vera Time Lady. River in una diversa occasione guarda se stessa tentare di uccidere il Dottore. Viene rapita in culla, ma cresce comunque accanto ai genitori a loro insaputa rapportandosi a essi come migliore amica coetanea. Insomma: una storyline non facile, né per lei o i suoi familiari né per noi che da casa abbiamo dovuto ricostruire, a ogni apparizione, il complicato puzzle del suo viaggio random nella vita del Dottore.

La timeline di River Song (clicca per ingrandire)

Ora che il quadro è finalmente completo (ma lo è?), ci ritroviamo nella singolare presa di coscienza di aver già detto addio a River da tempo, prima ancora che questo personaggio ci entrasse così nel cuore. L’abbiamo vista vivere ed esistere a lungo dopo averla vista morire – perché la morte di River è la prima cosa in assoluto a cui assistiamo del suo percorso, quando è costretta a compiere questa scelta pur di salvare il Decimo Dottore e con lui, soprattutto, i momenti insieme che lui ancora aveva davanti da vivere. Ora, finalmente, capiamo perché quei momenti erano tanto preziosi: dopo questo speciale, i due episodi della biblioteca – in cui River Song fa la sua prima apparizione e dove alla fine perde la vita “fisica” – avranno per sempre un sapore diverso e ben più doloroso.

Così pure Steven Moffat, che con quei due episodi aveva inaugurato in maniera ufficiosa la sua stagione di showrunner, torna alle sue stesse origini apponendo una sorta di firma: tutto finisce dove è iniziato, si “apre alla chiusura” citando J.K. Rowling. E la firma di Moffat in questa serie scopriamo essere River stessa, un personaggio di cui è evidentemente orgoglioso e a cui dimostra di essersi particolarmente legato.

River Song è interpretata da Alex Kingston, attrice inglese nota anche per i suoi ruoli nella tv USA (per quasi dodici anni ha impersonato la dottoressa Elizabeth Corday in ER – Medici in prima linea) e rimarrà nella storia di Doctor Who per essere senza alcun dubbio il primo personaggio femminile con cui il Dottore, solitamente rappresentato in modo abbastanza a-sessuale, intreccia una relazione che viene esplicitata come non platonica – aspetto a cui si allude sempre e solo attraverso battute, ma che pare tutto sommato inequivocabile. Se con l’Undicesimo Dottore aveva formato un pairing quanto mai bislacco – poiché nonostante River sia considerevolmente più giovane del Dottore (quei mille anni o giù di lì), la loro apparenza era quella di un ragazzo sotto i trenta e di una donna matura –, con il Dodicesimo l’equilibrio tra loro sembra rideterminarsi e, forse per la prima volta, la Time Lady può abbandonarsi alle attenzioni di un compagno finalmente protettivo, comprensivo, pronto a donarsi completamente a lei e con cui River può essere appieno se stessa. La chimica tra Peter Capaldi e Alex è palpabile e per tutto l’episodio formano un duetto quasi teatrale, irresistibile e comico. Per quanto io sia una fan della coppia Eleven/River, è come se solo in queste vesti per la prima volta i due personaggi potessero essere insieme pienamente naturali e onesti l’uno con l’altro. Sia nel momento in cui ancora River non lo riconosce e si crea lo strano siparietto per cui è lei la Time Lady alla guida del TARDIS e lui il suo companion improvvisato (ruolo che il Dottore pare voler interpretare da una vita, vedere la gag del suo ingresso nel TARDIS per credere), sia nella fase che segue il commovente riconoscimento tra i due, quando, perfettamente affiatati, cominciano a battibeccare come una coppia di sposi moderni, entrambi bonariamente fedifraghi e poligami – il viaggio nel tempo è in fondo un’ottima scusa per sposarsi tutte le volte che si vuole, visto che si genera il paradosso di essere sempre, nel medesimo istante, sposati, non ancora sposati e persino vedovi. Viene ribadito come entrambi abbiano collezionato coniugi celebri: lui Elisabetta I (abbandonata sull’altare), Marylin Monroe (abbandonata sull’altare), Cleopatra, e lei un dittatore intergalattico sanguinario, Stephen Fry (!) e… Cleopatra, di nuovo. (Sì, River è il secondo personaggio scritto da Moffat per Doctor Who, dopo Jack Harkness, a essere pansessuale).

Nella migliore tradizione moffattiana, la puntata alterna questi favolosi momenti leggeri ad altri più toccanti: non bisogna dimenticare che il Dodicesimo Dottore è reduce da un lutto doloroso con la dipartita definitiva (ma mai dimenticarlo: Moffat trolla) dell’ultima companion Clara Oswald e questo nuovo incontro con River funge in qualche modo da balsamo per i suoi due cuori acciaccati da tante perdite. Il nostro Timelord preferito regala a River tempo da passare insieme, ma lo regala soprattutto a se stesso: un’ultima, lunga notte tutta per loro (questa espressione poetica è gentilmente offerta in prestito dalla poesia di Catullo Dammi mille baci e ancora cento; grazie Gaio Valerio, sei sempre una certezza nella mia vita). Del resto, lo sappiamo, il Dottore non è un combattente. Il Dottore, per definizione, cura, e possiede un cacciavite sonico per aggiustare; e la dodicesima incarnazione fino a qui è stata la quintessenza del concetto, un tenerone burbero solo in apparenza (un alter ego di Moffat, insomma) che proprio non ce la fa a lasciar andare le persone, disposto a sfidare anche il Tempo pur di regalarne altro ai suoi cari e a sé – perché il tempo che conta veramente, nella vita eterna del Dottore, è quello che può trascorrere accanto a chi ama. Giusto in questa stagione abbiamo scoperto che Twelve ha “rubato” il volto di Caecilius (l’uomo la cui famiglia Donna Noble aveva esortato il Dottore a salvare dall’eruzione del Vesuvio a Pompei, ai tempi della decima incarnazione) proprio per avere un costante nodo al fazzoletto: ricordarsi che la sua vita ha senso quando può salvare anche solo una persona, anche quando può donare una sola ora in più a coloro che hanno toccato la sua anima.

Dunque ecco che arriviamo quatti alla legge segreta e nascosta, che riguarda Moffat: mi raccomando, è vietato dirlo ad alta voce, ma questo sceneggiatore ha in realtà un cuore di panna.

Facciamoci caso: se pensiamo ai suoi personaggi, sia di Doctor Who ma anche di Sherlock, non ce n’è uno che abbia ucciso veramente, senza riaprire le quinte sulla sua vita in qualche modo, senza un’escamotage impossibile di sopravvivenza, senza, quantomeno, il dono di una vita piena prima della morte. Sia Amy e Rory, che Clara, sia infine River hanno tutti in sorte – grazie al loro creatore – del tempo in più anche oltre il limite del possibile, a costo di spalancare loro dei varchi temporali ulteriori nella loro breve (?) esistenza. E quando sono morti tornano comunque in spirito, oppure da non-vivi, per un ultimo addio. Moffat ci ha regalato un Dottore pieno di speranza, dove nessun addio è definitivo e straziante, dove la parola chiave è “cambiamento” e tutti i momenti dell’esistenza, anche i più tristi, rappresentano sempre un’arricchimento anziché una deprivazione; dove, infine – e questa dovrebbe essere una delle tante morali della serie – il viaggio conta molto di più del punto di arrivo.

E quindi Moffat ci presenta un ultimo episodio che è una medaglia a due facce perfettamente nel suo stile: tragico e insieme consolatorio. Al contempo, consegna definitivamente alla storia della televisione un Dottore che non verrà facilmente dimenticato e che, con l’eventuale cambio di showrunner che sembra sempre più fortemente nell’aria, farà da ponte verso una nuova fase, con nuove avventure, nuovi companion, nuovi affetti. Perché i suoi due cuori sono abbastanza grandi da contenere l’universo intero e noi come suoi fan devoti gli auguriamo solamente di trovare nuovi momenti di felicità, dopo essersi lasciato così tanti vuoti alle spalle.

Ma chissà poi se Moffat passerà veramente il suo secondo Dottore nelle mani di qualcuno: sarebbe la prima volta nella storia del Who moderno in cui al cambio di showrunner non coincide il cambio di Dottore, dunque si tratterebbe di un mutamento quantomeno interessante da osservare. Forse Moffat farà semplicemente come i personaggi da lui scritti: dopo averci detto addio per sempre e in modo straziante, tornerà, comunque. Perché Moffat trolla e oramai lo sappiamo.


di Francesca

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Susanna

Autore "In the end, it doesn’t matter what design we choose because it’s what’s inside the machine that’s brilliant" Joe, Halt and Catch Fire