Entrare in sala credendo di vedere un biopic e ritrovarsi in una poesia: una riflessione su Neruda, film capolavoro di Pablo Larraín.


Pablo Larraín è un nome che presto sarà familiare a molti, considerata la probabile candidatura agli Oscars 2017 di Jackie, suo ultimo film da regista e suo primo film davvero statunitense. Lo diciamo quasi con dispiacere, non perché film non “all’altezza”, ma perché la bellezza di quanto il regista è riuscito a creare quando ha parlato del suo paese, il Cile, è qualcosa che difficilmente sarà ritrovabile con ambientazioni diverse, proprio per la poesia e il dramma intrinsechi alla storia di questa nazione.

Sottolineiamo: io non sono un’esperta di cinematografia sudamericana. Ma – c’è un “ma” nobile e valoroso! – sono un’esperta della filmografia di Alfredo Castro. E Alfredo Castro è l’attore feticcio di Pablo, per validi motivi che mi fanno sentire un po’ in simbiosi con questo regista che però gira in Ferrari laddove io mi muovo (poco) in cyclette. Per il resto, io e lui, una mente unica, praticamente.

fanheart3 Pablo Larrain a Venezia 73 by Agnese

Pablo Larrain fotografato da moi a Venezia 73

Pablo Larraín pre Neruda

Nel momento in cui mi sono ritrovata, dunque, a dover recuperare entrambe le filmografie (una dell’attore, l’altra del regista), mi sono resa conto di non avere poi un compito così difficile: Larraín ha ad oggi “solo” 9 titoli da regista tra cui la sua “trilogia” sulla dittatura in Cile (Tony Manero, Post Mortem, il mio preferito, e No – I Giorni dell’Arcobaleno) che mi ha fatto innamorare della storia politica di quel paese, e una fantastica serie televisiva dell’HBO Sudamerica, Profugos, davvero troppo sconosciuta soprattutto di questi anni in cui va di moda Narcos (NB: fandom di Narcos, salutate Alfredo, che è entrato a far parte del cast).

Poi, El Club e, a Venezia 73, Jackie… in cui la regia di Pablo è il più grande pregio, Natalie Portman è un po’ uguale a se stessa e la sceneggiatura di Noah Oppenheim ha giustamente conquistato il Lido, presentando un aspetto della vicenda Kennedy che pure io, che ne sono piuttosto appassionata, non avevo ancora preso in considerazione.

Neruda nelle sale italiane

Finalmente, dopo il trionfo a Cannes, ecco arrivare anche da noi Neruda, in cui Pablo colleziona i suoi prediletti (il gioco per i fan della sua filmografia è “chi riconosce più attori dai suoi film precedenti?”… io ne ho contati almeno 5) e, sulla carta, sembra un biopic sul famoso poeta cileno.

fanheart3 Neruda poster

Poster italiano di Neruda (x)

E così in sala mi ripropongo, dall’alto di un momento hipster/progressista, proprio prima che il film inizi, di dedicargli un articolo su fanheart. Ovviamente in questo caso – come immaginavo – poco dal punto di vista dei fan, a cui è dedicato questo nostro sito. Anche se in effetti, a pensarci, se fosse stata una produzione con attori più fandom popolari, le fanfiction ci sarebbero e sarebbero anche numerose: siamo ad una Valvert (n.d.a. Jean Valjean/Javert, Les Mis) in edizione cilena, dopo tutto, con meno santità e meno azioni suicide (…forse), ma un mood generale più che azzeccato.

fanheart Neruda vs Les Mis

“Indeed, Javert represents the merciless application of the law, the blind Justice that in the end is befuddled by hope and the possibility of redemption without punishment”

Dunque perchè qui, su fanheart? …C’è un’ingiustizia di fondo nel fatto che certi film spopolino fra il pubblico (Minions) o fra i fan (Suicide Squad) ed altri ti facciano ritrovare in sala circondata da over 60 (pochi) e siano fra le cose più belle e originali che tu abbia mai visto. Quindi sì, ve ne parlo, fans, vi parlo di Neruda, perché se siete fra coloro che hanno sognato di diventare scrittori e avrete voglia di andarlo a vedere, ne rimarrete anche voi estasiati.

Neruda sembra biografia ma è palese da subito che qualcosa “non torna”. L’atmosfera, le interpretazioni, i passaggi da un’inquadratura all’altra. Non vi sarà chiaro subito, ma pian piano l’idea si farà strada nella vostra mente e ad un certo punto, diverso, forse, per ognuno di voi, vi renderete conto di star leggendo un romanzo… su uno schermo cinematografico. Con attori protagonisti, attori che si credono protagonisti, personaggi secondari (uno dei quali si rivela essere tutt’altro), incontri memorabili, inseguimenti. In questo il film diventa qualcosa di completamente nuovo: non Neruda visto dagli occhi del regista e del mondo, ma il mondo visto attraverso gli occhi di Neruda. Neruda poeta, Neruda scrittore, che ci narra attraverso un narratore più che la sua storia, un’interpretazione della vita, dell’essere umano, del destino di ognuno.

Ci sono in particolare due momenti che illuminano, immensi, e, per chi lo andrà a vedere, li citeremo solamente: l’ultima moglie di Neruda che incontra il poliziotto (“Tu eri…”) e il finale sulla neve, che per la sua maestosità mi ha lasciato con le lacrime agli occhi. Le voci di autore e narratore diventano tutt’uno, si fondono le storie, le persone, e nel bianco sterminato della montagna, finalmente si comprende, si diventa Neruda, si diventa poliziotto, si diventa personaggio.

Se qualcuno vi chiederà di spiegare questo film vi ritroverete forse nella difficile situazione di chi deve spiegare una poesia: potrete delineare metafore e contenuti, cercare di ricostruirne il senso, ma una parte di voi saprà in ogni momento che l’unica vera maniera per comprenderla appieno sarà farla entrare dentro di sè, perché le parole spesso trovano significato nel momento in cui si fondono con l’animo di chi le sta leggendo. Così è Neruda: un film forse non per tutti, ma che per le persone giuste è semplicemente – come molte vere recensioni ci ricordano – un capolavoro.


Agnese

Presidente, autrice. "The only way to be happy is to love. Unless you love, your life will flash by" The Tree of Life, 2011