“Come if convenient. If inconvenient come anyway”
Sherlock
Elisa Vandini, GOLD C 095: questo è stato il pass che mi ha accompagnata per tutta la durata della convention, sfoggiato con orgoglio in giro per l’Excel, mostrato ai membri dello staff addetti agli ingressi e alle varie tipologie di code, ormai tutto bucherellato a seguito dei vari eventi riscossi e tenuto ora in custodia dalle avide e pelose zampe del mio peluche a forma di ornitorinco.
E grazie a questo pass ho avuto una delle esperienze più belle della mia vita e sono lieta che, grazie alle ragazze di Fanheart3, possa condividerla con voi. Lo farò cercando di essere oggettiva, ma senza tuttavia nascondere l’entusiasmo per il ricordo ancora vivido di questa grande riunione di una famiglia allargata, il cui capostipite ha un importantissimo e conosciutissimo nome: Sherlock Holmes. Un nome che, soprattutto a Londra, è una leggenda: per chi come me ha avuto la fortuna di visitare Londra, il museo di Sherlock Holmes e la mostra speciale al Museum of London, sarà infatti chiaro come il confine tra il personaggio inventato da sir Arthur Conan Doyle e la realtà sia quanto mai sottile. I dettagli descritti da Arthur Conan Doyle nei suoi libri, infatti, sono così sottili e perfettamente collocabili nella Londra di fine ‘800 che fin da subito si ha avuta l’impressione che quel personaggio fosse esistito sul serio. Un personaggio, quasi-storico, amato e apprezzato nei decenni al punto da ispirare registi e sceneggiatori che l’hanno portato sugli schermi televisivi improntandolo con un personalissimo punto di vista che, a seconda del target che si voleva colpire, ha creato una risonanza che ha amplificato ulteriormente il suo grande prestigio.
Per questo, alla prima convention ufficiale di Sherlock, serie tv creata dai fanboy geni di Mark Gatiss e Steven Moffat, eravamo quasi diecimila nella giornata di punta, pronti a ringraziare la crew e gli attori presenti per aver creato tutto questo, per aver creato Sherlock.
Ho molto di cui parlare, ma siccome non vorrei risultare troppo prolissa, dividerò il tutto in cinque punti a mio avviso salienti. Pronte ad indossare il deerstalker e a sparare contro la tappezzeria immergervi nella lettura?
1)Prezzi della convention: un’esagerazione o tutto giustamente proporzionato?
Eh, sì. Da buona genovese mi tolgo subito un argomento che, giustamente, è risultato spinoso: il vil denaro. (Sì, okay, anche il mio gatto ha appena storto il naso e non so se avete idea di quanto possa essere difficile storcere il naso per un gatto persiano!)
Ora vi spiego come erano suddivisi i pass senza cercare di scendere nelle cifre esatte, perché ovviamente nel prezzo finale di tutto l’evento bisognerebbe sommare il viaggio, l’alloggio, la metro, il vitto, il caffè (per una coffee addicted come me è da segnare nelle uscite!), la metro e l’aria visto che, io amo Londra, è il mio posto preferito nel mondo, ma è anche la città più cara di Europa (del mondo? Oh, Jesus.)
Il Gold è stato il pass che, secondo la mia modesta opinione, era forse il più giusto, il più adeguato secondo il rapporto qualità/prezzo –perché, no, col famigerato pass VIP da tremila pounds non davano un clone di Benedict (sì, il mio paragone, a voce, sarebbe a rating rosso e comprenderebbe prestazioni sessuali o visioni gratuite di un video Johnlock interpretato direttamente da Ben&Martin) e i Platinum, in più avevano solo una foto con l’intero cast e tutti gli autografi, Mark e Benedict compresi: 0,5 secondi della tua vita che, sì, avrai pur trascorso assieme ai due ospiti bigbigverybig, ma per il doppio del prezzo del Gold non mi sembrava adeguato. E, di rimando, il Silver costava la metà del Gold, ma non avevi le foto con gli ospiti principali (vedi Benedict Cumberbatch, Mark Gatiss, Andrew Scott e Lara Pulver) che, in caso potevi comprare a parte. Poi c’era il pass WeekEnd che costava molto poco, avevi accesso solo ad alcuni panel e qualunque cosa volessi, foto o autografi che fossero, dovevi comunque comprarli a parte (spendendo nel totale una cifra considerevolmente minore rispetto al pacchetto Gold.)
(Oh, per chi fosse curioso a riguardo, hanno venduto 9, leggasi NOVE, pass VIP i quali in più avevano una cena col cast. Ora, non so voi, ma se io andassi a cena con loro e Mark Gatiss mi rivolgesse parola, io gli vomiterei in faccia per l’emozione. Immaginate la faccia di Mark dopo. Cioè, no.)
Ora, partendo dal presupposto che il pass Gold non era economico e che io sono stata fortunata ad avere dei soldi da parte e che non mi pento di mezza sterlina spesa per questo viaggio, mi rendo conto che non tutti potevano permetterselo, ma questa è una cosa che non può dipendere da chi organizza la convention. Purtroppo bisogna metterlo in conto, ma non per questo, a mio avviso, si può giudicare negativamente una convention che, anzi, è stata organizzata a pennello.
(È come lamentarsi, in proporzione, perché in un ristorante puoi permetterti solo il menù fisso e non quello alla carta e dire che in quel ristorante si mangia male. Eh no, il cibo sarà ugualmente buono, solo che avrai una scelta imposta sulle portate e l’impiattamento sarà un mappazzone (Chef Barbieri, I miss you!) e non un’opera d’arte degna di Van Gogh).
In fondo, dato che la possibilità di comprare foto e autografi (con chiunque!) era aperta a tutti a prescindere dal pass in possesso, chi voleva una foto specifica poteva comprarla a parte spendendo solo per quella e per il pass di base.
Su una lamentela comune, però, sono d’accordo: io capisco gli impegni di Benedict Cumberbatch (che doveva esserci per forza vista l’assenza sicura di Martin Freeman) che, pover’uomo, non ha tempo neanche per respirare e a fine mese diventa papà quindi la sua agenda sarà ancora più incasinata, ma avvisare il pubblico delle date una convention a due mesi dalla stessa e mettere in vendita i pass dopo tre giorni dall’annuncio, è stata a mio avviso l’unica macchietta. Perché, okay, i pass sono stati in vendita fino al giorno prima della convention e, anzi, una poteva fare l’upgrade del pass in qualsiasi momento, ma se una persona viene da fuori (e c’era gente da tutto il mondo, credetemi) dovrebbe avere un po’ più di tempo per organizzarsi. Due mesi possono non essere sufficienti, ecco.
C’è chi dice che l’hanno fatto apposta per riservarla agli inglesi, ma io sono in totale disaccordo con questa linea: erano tutti molto lusingati ogni volta che, ai panel, si presentavano persone provenienti dal nord o dal sud dell’America, dall’Asia e da tutta l’Europa. Quindi la mia unica ipotesi è che abbiano sul serio aspettato il tempo limite per gestire gli impegni di Benedict, senza altre cospirazioni alle spalle.
Come ho già detto: piccola macchietta, ma perfettamente celabile in tutto il resto.
2) Organizzazione: per la serie “I’m British, I know how to queue.”
Se persino quell’adorabile scemotto di Arthur Dent in Guida Galattica per Autostoppisti era un maestro delle code, immaginatevi qualcuno, inglese, che lo fa di professione.
Io sono rimasta francamente stupita di come tutto abbia funzionato alla perfezione. Non che mi aspettassi che fossero disorganizzati, per carità, ma in questo caso bisognerebbe veramente dare una medaglia d’oro, oltre che agli organizzatori della Sherlocked, allo staff dell’Excel per aver gestito così bene una mandria di Sherlockiane incallite ed aver accontentato tutti con una precisione che spaccava il minuto.
(Ad essere totalmente precisi, l’unica coda che non è stata facile da gestire, seppur non per confusione o per colpa dello staff, è stata quella per l’autografo con Louise Bradley: la dolce Lou, semplicemente, non si accontentava di firmare un autografo e regalarti un sorriso, bensì ti donava almeno un minuto del suo tempo chiacchierando e abbracciandoti. Adorabile, un pasticcino alla crema, ma così facendo non è riuscita a concludere tutti gli autografi: io ho apprezzato il suo modo di fare, ma sarà stato così per tutti? Per quelli che non hanno ottenuto il suo autografo? Non saprei, non ho sentito lamentele a riguardo, ma non mi stupirei se qualcuno avesse storto il naso.)
Posso dirvi che c’era una vera e propria tabella di marcia e che assistere a tutte le talk e fare al contempo tutte le foto e gli autografi è stato un vero tour de force: è stata una convention dove era impossibile annoiarsi e in cui, nonostante la moltitudine di gente e le code più o meno lunghe, riuscivi a fare tutto e a godertelo al massimo.
Per la serie “Ah, ‘spe, mi gira la testa, come mai? Ah, sono le quattro del pomeriggio? E quando sarebbero trascorse le precedenti otto ore?! Okay, magari vado a farmi una jacked potatoe… ah, aspetta… c’è il panel con Andrew e Mark? Okay, sverrò felicemente mentre li ascolto, allora!” e ti rimettevi in coda in attesa di entrare nello spazio adibito al palco principale.
Poi uscivi e vedevi che Lars Mikkelsen e Rupert Graves erano disponibili per gli autografi e si intrattenevano con te quei cinque secondi in più perché non avevano le code chilometriche degli ospiti principali (Shame on you! Rupert è un pasticcino sexy e doveva avere la stessa importanza degli altri!) e allora ti facevi quella piccola coda e ti facevi autografare la moleskine, la copertina di un libro o, come ho fatto io, la foto che avevi fatto subito prima di assistere all’ennesima esilarante talk.
Neanche per la coda di Benedict ho visto o sentito problemi e qui mi congratulo con tutte noi, che abbiamo partecipato alla convention, perché se è filato tutto liscio e abbiamo potuto divertirci al massimo è stato in gran parte merito dell’organizzazione, ma anche del buon senso: è sempre più difficile da trovare, ma come si suol dire, paese che vai…
Ecco, appunto.
3: Talks e Q&A
Eh, ehm *imposta timbro vocale* giuri di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità? E giuri di non fare domande sulla Johnlock, sulla quarta stagione e sullo speciale di Natale? Lo giuri? Okay, allora puoi entrare nel Main Stage.
Questa era la premessa più o meno implicita e necessaria per poter alzare la mano e proporre una domanda per gli ospiti, domanda che veniva ascoltata ed eventualmente approvata dai membri dello staff dell’Excel che ti fornivano il microfono per rivolgerti al presentatore e agli attori di turno presenti sul palco.
Palco che era niente meno che il salotto di Baker Street!!! (Scusate l’enfasi, ma il momento fangirling è dovuto!)
Su questo palco si sono susseguiti a turno tutti gli ospiti presenti, a volte da soli, altre in coppia, oppure in gruppo e sono soddisfatta di poter confermare che, almeno alle talk a cui ho assistito, non sono state fatte domande sconvenienti o irrispettose.
La talk più divertente in assoluto è stata quella con Mark Gatiss ed Andrew Scott: il primo, quando ci si mette, è praticamente un comico nato e il nostro Moriarty in borghese quasi non riusciva a stare seduto sulla poltrona da quanto rideva. E un Andrew Scott che ride fino alle lacrime è proprio carino da vedere!
Il miglior scambio?
Domanda a Mark: “Do you shave for Sherlock Holmes?”
Risposta di Mark: “I actually do, but I’m not saying where.”
Reazione di Andrew: *sdraiato ai piedi della poltrona a tenersi la pancia dal ridere*
4)Foto e autografi
Ecco l’argomento che forse interessa ai più: ebbene, non è stato registrato alcun genocidio della popolazione sherlockiana presente alla convention causato dalla foto a contatto con Benedict Cumberbatch. Secondo gli esperti, il motivo, probabilmente, è da ricondursi al rapidissimo contatto avuto col suddetto agente patogeno Cumberbatch, un contatto così infinitesimale che manco Usain Bolt alle Olimpiadi.
Okay, tralasciando l’introduzione scema a parte, premetto che io di base non sono per nulla una persona polemica, quindi non ho effettivamente nulla da protestare riguardo alla rapidità in cui tutto è avvenuto.
Passo a spiegarvi il meccanismo delle foto con gli ospiti: l’attore in questione era “chiuso” attorno a quattro pannelli-mura montati agli angoli dell’immenso salone in cui si svolgeva la convention così che tu potessi vederlo solo nel momento in cui avevi quasi esaurito la fila e il tuo badge era già stato timbrato. Una volta entrati nel quadrato magico (Sator e Rotas, no, non sto parlando di voi!), si doveva lasciare borse e giacche su dei tavoli, disposti a loro volta a quadrato, su cui i propri effetti personali venivano fatti strisciare via via che la fila scorreva. Si arrivava in maniera composta davanti all’attore, ci si metteva in posa (se era un attore “minore” potevi chiedere una posa scema, se erano Mark, Ben o Lara, accadeva tutto in 0,5 secondi e dovevi avere la prontezza mentale di dire almeno un “ciao” o “grazie di tutto” o “ti farei sui chiodi, tanto l’italiano non lo capisci”), un brevissimo saluto, e quando ti staccavi da quei magnifici pezzi di carne loro ti ritrovavi davanti la tua borsa e la foto già stampata (che se era venuta male per evidenti motivi tipo occhi chiusi o derp face degna del famosissimo meme, potevi rifarla dopo che lo staff te la strappava a metà), uscivi altrettanto ordinatamente e potevi fangirlare su quanto appena accaduto.
Ora, lo so, descritto così forse può sembrare un po’ sterile, ma la verità è che se non avessero avuto questo altissimo livello di organizzazione, lo staff non avrebbe potuto accontentare tutti ed era moralmente e forzatamente obbligatorio che tutto ciò accadesse. Tutti coloro che avevano diritto alle foto, dovevano uscire da lì con le foto, cascasse il mondo. E tutti sono stati soddisfatti in quel senso.
E, comunque, fidatevi che l’emozione c’è comunque, anche se detto così sembra “un mezzo colpo” come ho commentato io sul momento (ovviamente davanti all’unico membro italiano dello staff che mi ha capito e si è fatta la sua risatina. Elisa Vandini: fa figure di merda oggi, ieri, spesso e volentieri, in Italia e anche fuori, ne fa di tutti i colori.), tu sei comunque lì, li hai mezzi abbracciati, li hai visti di persona e ti hanno sorriso e sono i tuoi idoli, quindi sono semplicemente perfetti. E, come te, ce ne sono altri novemilanovecentonovantanove da accontentare, quindi è giusto uscire dal quadrato magico e fare spazio agli altri.
Per quanto riguarda gli autografi, beh, avendo il pass Gold ne avevo cinque casuali tra gli ospiti minori ed avendo a che fare con attori per l’appunto “minori” (mi fa davvero strano chiamarli minori, davvero, soprattutto Rupert Graves, Lars Mikkelsen e Jonathan Aris che è il nostro Anderson di fiducia), avevano meno code e di conseguenza avevano a loro volta piacere di scambiare qualche chiacchiera in più con te. Li fa sembrare ancora più umani e tutto questo e li fa amare ancora di più.
Ad ogni modo, per amor di completezza, ho sentito dire da una mia amica che ha comprato l’autografo con Mark Gatiss, che anche durante questo tipo di sessioni gli attori maggiori andavano un po’ “di fretta”. Sempre per il motivo precedentemente descritto, però, quindi non mi sento in diritto di biasimarli.
Una menzione speciale per la famiglia Moffat: Sue, Steven e il piccolo Louis hanno firmato gli autografi gratuitamente a prescindere dal pass in possesso. Il piccolo Louis era molto contento, si è divertito molto e ho trovato adorabile il fatto che mentre scriveva gli autografi tirasse fuori la linguetta per impegnarsi maggiormente: adorabile, tale padre tale fig…
Ops.
5: Impressioni non serie, non oggettive, ma fatte col cuore
Ho già cancellato tre volte l’inizio di questo punto nonostante pensassi sarebbe stato il più facile da trattare, ma la verità è che ad una settimana dalla fine della convention, mi rimangono oltre ai bellissimi ricordi anche il cuore gonfio per quelle persone magnifiche che ho conosciuto e che mi mancano già con tutta me stessa.
Volevano essere impressioni, ma in realtà saranno ringraziamenti. Dirò tante volte “ringrazio” e lo farò apposta, voglio che la ridondanza sia palese, perché spesso si sottovaluta l’importanza di un gesto del genere, quando spesso è solo ciò che ci piacerebbe sentirci dire. Una piccola ricompensa, un segno che il tuo duro lavoro è stato apprezzato.
Ringrazio lo staff, sia della Sherlocked che dell’Excel, per aver reso possibile questa convention: se ne parlava da anni, ma me ne ero quasi dimenticata a causa della moltitudine di eventi più o meno drammatici che mi sono capitati e, parliamoci chiaro, anche a causa della mia memoria da pesce rosso.
Ringrazio la crew che lavora alle spalle di questo progetto enorme in maniera eccelsa con molto impegno e anche tanta autoironia: è grazie a voi se la serie tv Sherlock è nata ed ha rapito in cuore di tutte le sherlockiane di tutto il mondo.
Ringrazio il cast, dal primo all’ultimo.
Ringrazio Mark perché per me avrà sempre un fascino particolare, perché nonostante sappia che sono due persone completamente diverse, non smetterò mai di sovrapporlo al suo Mycroft, uno dei miei personaggi preferiti in assoluto.
Ringrazio Rupert, che è un figo pazzesco e ringrazio Lars per avermi concesso quell’epica foto in cui ci flickiamo la faccia a vicenda. Ringrazio Andrew perché è un pulcino delizioso e ringrazio Clive Mantle per quel mega abbraccio stile papà-orso. E anche Jonathan che nonostante l’abbraccio non mi ha rubato manco un briciola di QI (pescavi nel vuoto, caro Jon, mi spiace!)
Ringrazio le donne del cast, in particolare Una Stubbs che con quella vitalità e quel tailleur moderno sembrava più in forma di me.
Ringrazio Benedict che nella sua perfezione mi ha ricordato perché esiste la disciplina filosofica dell’Estetismo: esiste un canone di bellezza che ti dona serenità nel guardarla, che ti ispira valori superiori di morale ed intelletto. Questo sei tu, Benedict: perfetto. Fin troppo, forse? Questo non lo so, è troppo soggettivo come parere, ma di una cosa ti ringrazio: so che avevi la febbre quel giorno, ma ti sei sforzato per non farlo vedere e hai dato il massimo a tutte noi. Grazie, Benedict: ci tenevo tantissimo a vederti di persona, da così vicino, ed è successo. La persona che mi ha amata di più al mondo sarebbe stata molto felice di sapere che è successo.
Posso ringraziare anche Martin? La sua assenza si è sentita tantissimo, ma non mi piace escluderlo dai ringraziamenti, quindi… Martin… grazie per la FreeBeard, ecco.
Visto? Ora volete ringraziarlo un po’ anche voi, vero?
Okay…
Ma tornando ai ringraziamenti, mi sono lasciata il meglio alla fine, ovviamente.
Per ultima ringrazio la grande famiglia sherlockiana: tutte quelle persone, sparse in tutta Europa, che ho conosciuto grazie a questo evento. Non le nominerò una ad una, anche perché in molte non leggeranno comunque questo articolo e i miei ringraziamenti a loro li ho già fatti, in inglese, di persona, tra un abbraccio e una lacrimuccia.
Molte di loro erano cosplayers, alcune delle quali molto brave, dolcissime e speciali nel nostro modo di essere perché ci siamo guardate negli occhi e mentre il mondo può vederci diverse e sicuramente un po’ strambe, a noi siamo sembrate perfette l’una per gli occhi delle altre. E se è proprio vero che agli occhi del mondo siamo così bizzarre, allora permettetemi di citare Graham Moore, il giovane regista di The Imitation Game che sul palco degli Academy Awards ha espresso un discorso illuminante sulla propria vita, su ciò che l’ha influenzato per la sceneggiatura vincente di quel film e ha concluso il tutto con una frase che per me è diventata iconica: “Stay weird, stay different”.
Come posso concludere questo articolo? Io non posso che consigliare caldamente la vostra partecipazione ad una futura convention, soprattutto se ufficiale come questa e, ovviamente, se avete la possibilità economica per poterlo fare. Non solo per incontrare i vostri attori preferiti, o per fare la foto nel salotto di Baker Street, o per poter dire Io c’ero.
Fatelo per incontrare chi è come voi, fatelo per mischiare le vostre culture, per buttarvi in un’esperienza nuova e per ridere di gusto quando, dopo aver iniziato a parlare in italiano ad una persona, ti ricordi solo dopo che è francese e allora ti scusi e ricominci da capo.
Fatelo per le foto con le derp faces di fronte al 187 di North Gower Street fingendo che anche quel giorno sia il 221B di Baker Street. Fatelo per la colazione allo Speedy’s seduti al tavolino in cui Mycroft ha detto “Initially he wanted to be a pirate”.
Fatelo per il tour Sherlockiano per eccellenza in giro per Londra, con le tappe al Muro del Pianto (aka Sant Bart’s) e alla panchina in cui Mike Stamford ha detto a John “Maybe you should find yourself a flatmate”.
Fatelo per questo e per i tanti ricordi che vi faranno sorridere di riflesso, sia che siate a casa da sole o in piedi sull’autobus e la vecchia davanti a voi penserà a voce alta che i giovani d’oggi sono tutti nesci.
Fatelo per voi stesse, perché è uno dei più bei regali che possiate mai farvi.
di Elisa
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