I fan, esponenti di rilievo della cultura partecipativa, potrebbero trovare nell’uso della virtual reality in ambito cinematografico lo strumento perfetto per vedere realizzate alcune delle loro esigenze principali. Scopriamone assieme il perchè
Realtà virtuale: tanti di voi la usano da anni nei videogiochi, qualcuno la sfrutta addirittura per i giochi da tavolo (quale meravigliosa scoperta, Chronicles of Crime), ma ancora in pochi, temo, hanno avuto l’ebrezza di provarla in contesto cinematografico.
Ne abbiamo già parlato l’anno scorso, in occasione della presentazione della line-up della sezione VR di Venezia75 (parte 1 | parte 2), su Facebook direttamente dal Lido ( video 1 | video 2 | video 3) e su youtube (parte 1 | parte 2).
Ma come rapportare questa ossessione per la virtual reality all’interesse prioritario di fanheart3, quello verso i fan?
Ci abbiamo molto riflettuto e alla fine abbiamo capito che cosa rende la VR così speciale per noi .
Pensavate infatti che Bandersnatch (qui la nostra recensione non propriamente entusiasta) fosse la realizzazione di qualcosa che come fan aspiriamo da sempre di ottenere? Eh, no.
La vera realizzazione, la vera messa in atto di quelle che sono le nostre più grosse aspirazioni è proprio la VR. E non solo quella da videogiochi – con tutto il rispetto e l’amore che vi associo – ma quella creata per raccontare delle storie immersive di altro genere, di cui noi, come spettatori, diventiamo parte integrante anche qualora ci limitassimo al ruolo di osservatore.
Virtual reality e fandom, the origins: la cultura partecipativa
Sapete che i fan sono l’elemento cardine di quella che oggi chiamiamo “cultura partecipativa”?
Non si tratta più di vedere l’audience come qualcosa che accoglie senza fiatare i prodotti che arrivano dalle case di produzione. Certo, tutti abbiamo sentito leggende metropolitane raccontare di persone che hanno dimenticato l’ultimo film della Marvel il minuto dopo averlo guardato. Ma alzi la mano chi, fra voi fan, non è rientrato a casa magari da quel medesimo film e si è messo a discuterne i contenuti con gli amici, o ha cercato fanart e fanfiction online, o si è detto, guardando qualche spettacolare supereroe in un nuovo outfic: uuuh, questo sì che è un cosplay fattibile!
Noi non siamo impassibili. Noi non accettiamo tutto così “perché tanto”.
No, noi fan dobbiamo dire la nostra e alle volte la diciamo così forte da lasciare il segno nei prodotti che guardiamo.
Questo – e non solo – è ciò che chiamiamo cultura partecipativa. Un modo di intendere la cultura non nuovo, ma di cui sicuramente non tutti sono consapevoli, in cui il consumatore diventa qualcosa di più: un prosumer (producer + consumer) che attivamente collabora per modellare i prodotti che gli vengono offerti con creazioni artistiche (fanart, fanfictions, ecc.), discussioni ma anche campagne sui social attraverso cui esplicitamente richiede che venga fatta la sua “volontà” – si veda il caso Sense8 – e così via.
Riassumendo e semplificando molto il concetto: il fan mette l’anima nel prodotto che segue perchè ne è investito emotivamente e intellettualmente. Anzi, in una procedura quasi circolare, se un prodotto non stimola mente e cuore, una persona non ne diventa fan. Ma nel momento in cui lo fa, l’attivazione emotiva e intellettiva sono tali che guardare il film non è più sufficiente: il fan, attraverso la creazione di materiale, la sua condivisione e la discussione nei social estende la visione oltre lo schermo del cinema/della televisione/del pc e coinvolge nel suo interesse altre persone che a loro volta hanno il potenziale di diventarne fan.
Film sono così diventati fenomeni di culto. Serie hanno segnato la storia. E questo processo è esattamente quello che potrebbe determinare il successo anche di una tecnologia, quella della VR, su cui ancora permangono esitazioni.
Virtual reality: una risposta alle esigenze di noi fan?
Senza voler scendere troppo nello scientifico, tutti noi siamo consapevoli di alcune fra le principali esigenze che, come fan, abbiamo. Avvicinarci al prodotto, farlo nostro, toccare i personaggi con mano (perchè spesso ci sembra di conoscerli meglio dei loro autori), entrare in contatto con chi li interpreta.
Quella fra fan ed elementi del prodotto di cui il fan è appassionato è una storia d’amore che durerà per sempre.
Provando la virtual reality alla Mostra del Cinema di Venezia, mi sono ritrovata di fronte a qualcosa che, pur riguardando spesso prodotti e alle volte argomenti di cui non avevo conoscenza pregressa, mi provocava tuttavia una serie di sensazioni che, automaticamente, associo di solito al mio essere fan: entusiasmo, coinvolgimento, curiosità, sicuramente passione.
E, sopra tutte, la senzazione – che è qualcosa ormai dato per assodato nella realtà virtuale – di aver vissuto qualcosa e non solo visto qualcosa.
Che, a mio parere, è esattamente quello che distingue l’esperienza che fa lo spettatore medio di un prodotto (film, telefilm, ecc.) da quella che ne fa il fan.
Virtual reality e tipologie di fan
Certo, di fan ce ne sono tanti, anche se le dinamiche che li muovono sono simili. Ci sono fan che discutono ore sul colore della pelle di Thanos, fan che creano fanfiction di cui persino Victor Hugo sarebbe fiero, fan che passano le loro notti su Tumblr a cercare fanart anche se il giorno dopo si devono alzare per studiare, fan che si vestono come hobbit o elfi perchè Tolkien ha cambiato la loro vita.
E poi ci sono tipologie di virtual reality diverse. Esperienze in cui si osserva solamente, in cui si interagisce, durante le quali si impara qualcosa o che fanno provare cose nuove. A Venezia ci siamo immersi in queste installazioni e abbiamo imparato a conoscerne un po’ le caratteristiche.
Durante Venezia75 abbiamo avuto la possibilità di provarne diverse e ci è stato subito chiaro che alcune di loro potevano rispondere esattamente alle esigenze di certe tipologie di fan e recare con loro il potenziale per stimolare quello stesso tipo di passione che avvicinano i fan ai loro film / telefilm preferiti.
Per i cosplayer: “Alice the Virtual Reality Play”
Ci vestiamo come i nostri personaggi preferiti e ne imitiamo le pose e gli atteggiamenti perchè, alla fine, una parte di noi vorrebbe essere come loro, in qualche modo.
Alice The Virtual Reality Play, installazione diretta da Mathias Chelebourg e prodotta dalla DV Group, permette esattamente questa esperienza, trascinando lo spettatore nel mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie e trasformandolo in Alice stessa.
Nell’installazione, a cui si accede calandosi in un’inquietante atmosfera onirica, è possibile giocare con le carte, assaggiare gommosi funghi magici, causare accidentali morti di personaggi virtuali (ho dato del mio meglio ma ho falito)… e parlare con il Bianconiglio e il Brucaliffo. Ma non degli avatar: dei personaggi in carne ed ossa, interpretati da vere persone ma che noi, con l’headset indosso, vediamo come se avessero le fattezze dei due personaggi della storia.
La nostra mente non è abituata a qualcosa del genere: si è spettatori, attori e personaggi al tempo stesso in un mix fra performance teatrale e cinema che lascia estasiati. Amore immediato per tutti, ma per un cosplayer letteralmente un sogno che diventa realtà.
Per chi crea fanart: “Arden’s Wake”
Con le potenzialità della virtual reality e la passione per rielaborare le storie e le immagini che ha chi scrive fanfiction e chi elabora fanart grafiche, sembra strano consigliare a questi ultimi un’esperienza in VR in cui facciamo solo da esploratori di uno spazio pre-costruito. Eppure, Arden’s Wake, diretto da Eugene YK Chung e vincitore a Venezia74 per la miglior VR, è uno dei più bei lavori in realtà virtuale che si possano provare: un racconto complesso, profondamente commuovente, ma anche costruito su un plot twist, con personaggi che coinvolgono dal primo momento e un’estetica che sembra uscita dal miglior film Pixar. Un piacere per chi ama le storie e guardarle così da vicino da sentirsene quasi parte.
Ah, se indovinerete a chi appartiene la voce che accompagna il teaser, saprò che facciamo parte del medesimo fandom.
Per i nerd dentro: “Eclipse”
Adorate i computer, la fantascienza, vi intendete di fisica/chimica/astronomia/biologia e fate prosperare il science fandom su Tumblr? Allora Eclipse è l’installazione che fa per voi. Un prodotto che è un mix fra un videogioco e un’esperienza teatrale, Eclipse, diretto da Jonathan Astruc e Aymeric Favre, vede coinvolti quattro utenti contemporaneamente, suddivisi in due team. L’ambientazione è un’astronave quasi distrutta. Compito del primo team: esplorare; compito del secondo: dare indicazioni al team 1 su come muoversi. E in tutto ciò, entrambi devono sopravvivere agli zombie che, a quanto pare, hanno preso possesso del velivolo.
Eclipse è un’installazione sorprendente sia per l’idea narrativa – classico film di fantascienza in cui, per la prima volta, siamo noi a dover risolvere gli enigmi in tempo se non vogliamo finire male – sia per il fatto che inganna la mente come poche cose: pur condividendo lo spazio solamente con il membro del team di cui fate parte, potete vedere anche le altre due persone come se fossero accanto a voi. Beam me up, Scotty.
Per i geek che vivono di (e nel) cinema: “The horrifically real virtuality”
Appassionati di cinema di tutto il mondo unitevi, perchè The Horrifically Real Virtuality, diretto da Marie Jourdren, è un mix di tutto ciò che avreste sempre voluto fare…
- assistere alla creazione di un film (effetti speciali inclusi)
- aiutare con la creazione di un film (riprese? musica? gobbo? Ce n’è per tutti i gusti)
- essere in un film (e se siete fra i pochi fortunati, essere pure nel trailer del film come un paio di fanheartist di nostra conoscenza…………)
Nell’installazione veniamo condotti, da attori veri, sul set di un film di Ed Wood e da lì in un cinema dove, pochi secondi e profumo di marshmallows dopo, si viene risucchiati nello schermo e ci si ritrova personaggi del set che stavamo osservando poco prima, Bela Lugosi accanto a noi che cerca di capire chi siamo e da dove veniamo. L’affascinante setting in bianco e nero, il fatto che l’audience è parte integrante della storia, l’effetto Inception di storia nella storia nella storia ci trascinano in un altro mondo dove lasciarsi coinvolgere è la priorità e dove il divertimento è assicurato.
Per le social justice warrior: “Make noise”
Combattono per i diritti umani, per i diritti ambientali, per la parità di genere e di razze; hanno collaborato a far candidare agli Oscars Black Panther e aiutato a diffondere il movimento Me Too.
Le social justice warrior, come dice il nome stesso, vivono per combattere le ingiustizie e Make Noise, diretta da May Abdalla, risponde esattamente a questa esigenza: un’installazione interattiva in cui si ricostruisce il movimento per il voto alle donne attraverso le voci delle suffragette che vi hanno preso parte… e attraverso la nostra. Perchè l’esperienza, di un’estetica molto squadrata e lineare, chiama i suoi utenti ad esprimere a voce alta la propria partecipazione, urlando, parlando, sussurrando per modellare il modo in cui le immagini si manifesteranno attorno a noi.
Un’installazione da provare con altre donne, e possibilmente di varie età: ne uscirà un’esperienza commuovente e in cui davvero avremo la percezione di aver fatto valere la nostra presenza e aver ringraziato quanti ci hanno donato alcuni dei diritti di cui godiamo oggi.
Se quest’anno la Mostra del Cinema replicasse l’organizzazione 2018, verranno messi a disposizione degli accrediti speciali giornalieri per provare la sezione virtual reality e tutte le installazioni che si desidera (previa prenotazione dei posti).
Vi torneremo ad aggiornare sulla cosa appena saranno diffuse le modalità di questa edizione. Per curiosità, dubbi e se volete condividere con noi esperienze in VR che avete fatto, scriveteci a [email protected] .
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