E’ vero che i film tratti dai libri “rubano” al lettore la possibilità di immaginare autonomamente i personaggi e i luoghi descritti? Oppure, proprio perché mostrano posti e persone che magari non ci saremmo mai figurati, ci donano una prospettiva esterna, allargando il nostro orizzonte?
Al Salone del libro di Torino di quest’anno (leggi il nostro resoconto qui) ho avuto la possibilità di vedere e ascoltare il figlio di uno dei miei autori preferiti: Matt Salinger, figlio di J.D. Salinger, autore di Il Giovane Holden.
È stata un’emozione fortissima sentire parlare di lui da un’ottica diversa, più famigliare e accessibile, di chi ha visto in quella figura principalmente un padre.
J. D. Salinger, si sa, non ha mai amato l’attenzione, il clamore e la fama che accompagnò i suoi libri, sin dalla pubblicazione di Il Giovane Holden. In cinquant’anni di carriera ha rilasciato pochissime interviste, finendo per vivere quasi da recluso: la stampa era arrivato a definirlo misantropo.
Matt Salinger ci regala un’immagine diversa di suo padre: un uomo sensibile, presente, pronto ad incoraggiare i propri figli a perseguire quello a cui aspiravano. Un uomo che amava scrivere, e basta. Non pubblicare, non promuovere libri, non essere al centro dell’attenzione, solo scrivere. E, difatti, dal 1965 alla sua morte, nel 2010, non pubblicò più nulla, benché, ci assicurò Matt, continuasse a scrivere diligentemente ogni giorno.
Un punto di vista quasi inedito, che ci dovrebbe far riflettere, soprattutto oggigiorno, quando alcuni romanzieri sono sempre più coinvolti in quello che viene dopo la pubblicazione: partecipano a talk show, dialogano direttamente con i fan e contribuiscono a creare la versione cinematografica o televisiva della propria opera (due tra tutti, George Martin e J.K. Rowling).
Salinger padre era tanto duro e riservato con i giornalisti e con chi si voleva approfittare del suo successo, quanto dolce e incoraggiante verso i propri fan: rispondeva a moltissime lettere di persona, aiutava per quanto possibile le persone in difficoltà e non chiudeva mai la porta in faccia a chi si presentava a casa sua in cerca di conforto.
Non solo: se avete anche solo preso in mano un suo libro, avrete notato che la copertina è quasi sempre bianca, o comunque senza immagini. Salinger aveva imposto questa scelta per un senso di protezione verso i suoi fan: non ci dovevano essere immagini esterne a quanto scritto nel libro che influenzassero la mente del lettore. Il lettore doveva leggere formandosi le proprie idee e immaginando personaggi, luoghi e azioni su una tela completamente bianca e vuota.
Per lo stesso motivo, non ha mai concesso i diritti di fare un film o un’opera teatrale di Il Giovane Holden, né di altri suoi scritti.
Interessante punto di vista, vero?
In una società in cui immagini e video vengono prodotti e scambiati a velocità impressionante, in cui i film vendono molto più dei libri, in cui c’è un adattamento cinematografico quasi per ogni opera cartacea, in cui vanno forte i fan casting, in cui le fanfiction escono di pari passo con le fanart o gli aestethics… in questo mondo le parole di J.D. Salinger ci suonano assurde e fuori luogo.
I film aiutano a fare vendere più libri, benché spesso cannibalizzino il loro gemello di carta, e ormai siamo abituati al vedere una versione sul piccolo o grande schermo per ogni romanzo degno di nota.
Ecco, quindi, la mia domanda: posto che ormai il legame tra letteratura e cinema o televisione è diventato praticamente indissolubile, e non sembra destinato a cambiare, è comunque vero che gli adattamenti ci “rubano” un po’ di quella immaginazione che ci spetterebbe come lettori? È possibile immaginare i personaggi con volti diversi da quelli degli attori che li interpretano? Dopo aver visto il film o il telefilm siamo in un certo senso legati a quanto rappresentato? O, al contrario, ci fanno immaginare volti e luoghi a cui non avremmo mai pensato autonomamente, regalandoci un nuovo punto di vista?
La domanda rimane per me aperta. A voi l’ardua sentenza.