Qual’è il costo dell’essere fan nell’era del marketing digitale? Analizziamo Omaze, il sito che ti può far incontrare la tua star preferita donando $10 in beneficenza.


Fondata nel 2012, Omaze è una società che si specializza in eventi a premi, dove, se partecipi, il tuo nome può essere sorteggiato e puoi essere il vincitore. Ma cosa si vince? Da Omaze, il premio è una celebrity experience: il sito si pone sul mercato come azienda che ti può far incontrare la tua star preferita donando $10 in beneficenza. Troppo bello per essere vero? Scopritelo con noi…

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Sogni ad occhi aperti e campanelli d’allarme

A chi di voi non è mai successo di prepararvi per una vacanza a Londra cercando su Google la location esatta della “finta Baker Street” dove viene filmato Sherlock, o chiedendovi in quale supermercato Michael Fassbender e Bill Nighy facciano scorta di Earl Gray?

O forse vi sarà successo di passare un’intera giornata a una Mostra del Cinema, mantenendo il posto in prima fila davanti al red carpet come se la vostra vita dipendesse dalla scelta di parole da usare quando Jake Gyllenhaal si volterà verso di voi. O di arrivare a una convention e dimenticarsi completamente del valore delle banconote che avete in mano, raccogliendo autografi a suon di 50 dollari buttati in aria come i coriandoli a carnevale. O magari vi siete fermati alla stage door di un teatro dopo Don Juan in Soho aspettando David Tennant, avete pagato per fare il “tour delle case dei VIP” a Los Angeles sperando che Ellen avesse deciso di dirottare anche il vostro bus verso il suo studio (qui!), o avete fatto un picnic di un giorno sul pratino davanti ai Pinewood Studios aspettando l’apparizione di Tim Burton con la sua bicicletta.

Al giorno d’oggi, non sono solo i sogni ad occhi aperti a far compagnia a noi fan quando pensiamo a quei volti così vicini sugli schermi delle nostre tv e allo stesso tempo così lontani fisicamente. Ci sono innumerevoli modi in cui è possibile sentirci più coinvolti, anche semplicemente tramite i live tweet, i q&a sui social media, gli eventi che vengono organizzati ogni anno, in tutto il mondo ma anche in Italia (come la Jus In Bello di Supernatural!). Ma è stato qualche mese fa, quando ho ricevuto un’e-mail apparentemente “inviata” da Orlando Bloom e che lo ritraeva in una posizione quantomeno bizzarra (vedi sotto), che ho scoperto dell’esistenza di un’organizzazione chiamata Omaze e ho iniziato a pensare a quanto siano cambiate le strategie di marketing dirette ai fan e a quando dovremmo iniziare a sentire qualche campanello d’allarme. Qual’è il costo di essere fan nell’era del marketing digitale? Scopriamolo insieme.

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Ora, come potete immaginare, alla vista di questa foto mi sono venute mille domande, e fra un “ma sarà una bufala?” e un “perchè proprio quella posa?”, ho deciso di non “mettere la testa sotto la sabbia” come il buon Orlando e di fare qualche ricerca.

Prima di tutto mi sono sentita una brutta persona per aver dubitato dell’esistenza di Omaze, che ho scoperto essere una start-up creata con l’unico scopo di offrire “once-in-a-lifetime experiences” (=esperienze che si fanno una volta nella vita) per beneficenza al costo di “as little as $10” (=solo 10 dollari): ecco l’intera descrizione sul sito ufficiale di Omaze.

Insomma, il fortunato fan vincitore, selezionato ovviamente “at random” fra migliaia di partecipanti, potrà dire addio alle lunghe attese sotto il sole e chiedere a George Clooney di riempirlo di complimenti per 45 secondi, usufruire dei servizi di “life coaching” di Arnold Schwarzenegger, cenare con Gordon Ramsay al tavolo “VVIP con due V,” camminare insieme agli attori di Star Wars sul red carpet alla prima di The Last Jedi… In alcuni casi potrà partecipare ad esperienze che vanno oltre all’ambito lavorativo della star in questione, per esempio unirsi a Ringo Starr al brunch per festeggiare il suo compleanno, andare in bicicletta con Bono o chiedere a John Legend di cantare al suo matrimonio (!).

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E se da un lato, vedendo tutte queste foto di fan felici e tutti questi cartelli invitanti mi viene un tuffo al cuore e devo allontanarmi fisicamente dal computer per non iniziare a “far beneficenza” e rendere fiero Robert Downey Jr, dall’altro è proprio quest’ultimo aspetto che mi spaventa. Perchè so che non mi fermerei ai “soli $10 una volta nella vita” che mi darebbero diritto alle “100 entries” di base, ovvero 100 possibilità di essere estratto.

Mi verrebbe sicuramente voglia di fare una scommessa più alta in questa organizzazione benefica che inizia ad assomigliare sempre di più a una Las Vegas online, con il 20% dei ricavi che rimangono ai soci fondatori (essendo l’organizzazione “for profit”), i vincitori che sono quasi sempre residenti USA e le donazioni di $5,000 che ti danno ben 50,000 possibilità di vincere. E mi verrebbe voglia di giocare di più, per provare a vincere altre “awesome experiences” pubblicizzate direttamente con un’e-mail personalizzata in cui mi chiamano pure per nome.

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Omaze: benefattori o geni del marketing?

Insomma, cosa dobbiamo pensare di questa organizzazione?
Quello che mi sento di dirvi è prima di tutto di leggere il regolamento di ogni contest, perchè molti concorsi non sono aperti a residenti italiani e si rischierebbe di fare un’offerta per poi scoprire di non avere nemmeno una minuscola possibilità di vincere.

Questioni tecniche a parte, è vero che l’80% dei ricavi di queste campagne viene effettivamente devoluto in beneficenza, quindi sicuramente Omaze sta, di fatto, facendo vivere ai fan esperienze uniche per una buona causa.

Allo stesso tempo, però, lasciando da parte quanto stia diventando caro “essere un fan” ai nostri tempi, credo che sia necessario fare una riflessione soprattutto su quanto iniziative di questo tipo stiano effettivamente puntando i riflettori sulle nostre star, su quelle persone che tanto amiamo, ma il più delle volte senza valorizzarle per quello che hanno fatto o rappresentano per noi fan.

E’ giusto incentivare un business che si nutre di foto in cui attori del calibro di Mark Hamill e Harrison Ford sono costretti a mettersi in posa con facce buffe e cartelli con frasi improbabili? Obbligare un cantante a suonare al nostro matrimonio può veramente aiutare a dimostrare la nostra ammirazione e il nostro rispetto verso questa persona? Quanto potranno mai prenderci sul serio i nostri divi? Ci emozionerebbe davvero passare più ore con la nostra celebrità preferita che impersona l’ennesimo “ruolo” di fronte alle telecamere? Non preferiremmo forse i cinque secondi di stretta di mano sudata ma autentica davanti al red carpet in cui potremmo davvero trasmettere loro tutto il nostro entusiasmo?

E tra le tante domande, rimane quella su Omaze: benefattori per il mondo dei fan o geni del marketing? Sta a voi decidere.

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Serena

Autrice. "Sometimes I've believed as many as six impossible things before breakfast" Alice In Wonderland